Il rischio radioattivo.          
La comprensione delle informazioni e le strategie difensive (come ridurre il rischio)
  
                                                                                
INDICE DEGLI ARGOMENTI
  • Il rischio radioattivo e gli Organismi Internazionali deputati al suo controllo
  • I danni causati dall’esposizione ad agenti radiogeni
  • Radio-esposizione “esterna” e “interna”. Come ci si è difesi finora?
  • Ionizzazione e danno biologico
  • I principali imputati (i radicali liberi)
  • Le malattie degenerative e lo stress ossidativo
  • I sistemi anti-ossidanti (nuove strategie difensive)
  • La divulgazione scientifica ( e la politica di minimizzazione del rischio)


Premessa
Ho ricevuto in questi giorni, da un cortesissimo ed emerito studioso di Fisica Nucleare, docente presso una prestigiosa università Europea, una serie di dati e informazioni che mi hanno notevolmente disorientato, confermandomi tuttavia ciò che già intuivo, anche se non in questa dimensione.
Ho deciso così di elaborare questo testo, cercando di renderveli, nei limiti delle mie possibilità, un tantino  più leggibili, e darvi quindi la possibilità di comprendere anche altri meccanismi, questa volta di natura biologica, ad essi collegati.
Siamo sommersi dalla più completa disinformazione, non solo in questa materia. Il Caos regna sovrano.
L’uomo moderno non ha più riferimenti culturali. Nel marasma caotico di informazioni che ci vengono quotidianamente propinate si celano abilmente quelle destinate a confonderci, a renderci la verità invisibile.
Alle mie domande sull’attività dei radionuclidi, sulle quantità di radiazioni circolanti nell’atmosfera e sulla maniera di leggere i dati delle pubblicazioni scientifiche (a me per la maggior parte incomprensibili) infatti, mi ha risposto nella maniera che sotto vi riporto.
Spero di essere riuscito poi, nei capitoli successivi, a farvi comprendere che ogni singolo argomento è legato all’altro, e regolato, da un unico filo logico.
                 Alessandro Ricchi (Fondazione Giuseppe Di Bella)
 
“”……..Un singolo atomo di un elemento radioattivo disintegra UNA volta sola “nella sua vita”.
Quando disintegra, tramuta ipso facto in un altro elemento chimico (stabile, oppure pure lui radioattivo).
In qualche modo un atomo radioattivo è una sorta di “bomba ad orologeria” che scoppia quando gli pare e piace ma una volta scoppiato non “esiste” più. Quando lo farà e se lo farà ? Nessuno è in grado di prevederlo. Quello che sappiamo è che ha una certa probabilità di disintegrazione per unità di tempo (di solito per convenzione il secondo). Per contro siamo in grado di prevedere quanti elementi in una popolazione di atomi di un certo elemento disintegreranno al secondo e nel tempo, senza tuttavia poter mai specificare quale di questi atomi disintegrerà ad una specifica data.
In un periodo lungo 70 anni (vita media di un individuo) l’attività radioattiva interna di origine “naturale”, dovuta al  Potassio 40 e al Carbonio 14 presenti nel corpo umano, ammonta a 16 mila miliardi di disintegrazioni.
E una cifra stratosferica, comoda da propagandare e per illudere e scalfire i timori verso la radioattività interna “artificiale”, ma se rapportata al numero di cellule presenti in un individuo, appare con una tutt’altra veste.
Tenuto in considerazione della pressoché equi-ripartizione di questi atomi radioattivi naturali nel corpo e del tragitto delle particelle beta emesse, queste disintegrazioni riguardano 6,12E15 cellule (6,12 milioni di miliardi.) (N.B. Penetrazione del K40 nei tessuti: 6275 micron per circa 628 cellule attraversate. Penetrazione del C14 nei tessuti: 380 micron per circa 38 cellule attraversate.)
Poiché il corpo umano adulto contiene circa 100 mila miliardi di cellule, ognuna, senza qui contare il rinnovo cellulare, in 70 anni subisce in media 61 episodi di ionizzazione interna naturale ossia, altrimenti detto,  ogni area istologica sopporta un episodio ionizzante ogni 13 mesi.
Il DNA può dormire tranquillo. Le capacità riparative cellulari dovrebbero essere tranquillamente in grado di riparare i danni.
Qualsiasi  particella radioattiva artificiale insediata sottopone, invece, ad una ionizzazione ben più frequente le cellule circostanti.  
Il DNA può tremare.
Guardi un po’ quello che respiriamo all'anno di plutonio secondo l'Arpa (legga i suoi numeri, non le sue conclusioni.)
http://ita.arpalombardia.it/ita/aree_tematiche/agentifisici/files/relazioni/2014/07-Ambiente%20-%20l'aria.pdf
Affinché 3,40 mBq di Pu239 (10 volte la ricaduta mensile segnalata dall'ARPA) si depositino in 1 metro quadro bisogna che a seconda della velocità di sedimentazione delle particelle sospese in aria da 1,70 Bq a 34,00 Bq di questo radioelemento transitino in 1 metro cubo.
In questi scenari di contaminazione atmosferica un adulto, in un anno a Milano, inala per forza da 436,80 µBq a 8,74 mBq ossia da 484,9 milioni a 9,7 miliardi di atomi radioattivi di Pu239. Le croniche ed accertate ricadute radioattive al suolo sono la prova incontrovertibile della cronica contaminazione radioattiva degli esseri viventi tramite il respiro, nonché ovviamente tramite bevande ed alimentazione.
Stesso ragionamento ma partendo dai dati sullo stronzio 90.
Affinché 1 Bq di Sr90 si depositi in 1 metro quadro bisogna che a seconda della velocità di sedimentazione delle particelle sospese in aria da 200 Bq a 500 Bq di questo radioelemento transitino in 1 metro cubo.
In questi scenari di contaminazione atmosferica un adulto, in un anno, a  Milano, inala per forza da 51,39 mBq a 128,47 mBq ossia da 67,3 milioni a 168,3 milioni di atomi radioattivi di Sr90.
Guardi cosa si è respirato in soli 8 giorni, in Austria, nel 1986 ai tempi di Chernobyl :
(e pertanto che si è respirato anche sull'arco alpino italiano visto che lì sono avvenute pressoché le stesse ricadute come lo segnalano, tra l’altro, le mappe eseguite da André Paris e dalla CRIIRAD)
http://link.springer.com/article/10.1007/BF02386445
Il riassunto basta ed avanza per estrapolare quanto sotto, tradotto in meno gergale:
in 8 giorni la gente(ogni individuo)  ha respirato sui 6 miliardi di atomi di Pu239 e sui 2,6 miliardi di atomi di Pu240 e circa 700 milioni di atomi di Pu241. Oggi ne vediamo le conseguenze patologiche differite.
E in Italia nel 2012 (fonte ISPRA), solo di Cesio-137: 
http://annuario.isprambiente.it/sites/default/files/indicatori/data/T71/4814/Ver_11/tabella_2_CS137_deposizioni_umide_secche.html 
Tanto per darle un esempio: 0,1 Bq/mq significano 137,5 milioni di atomi per m2.
Nelle nostre latitudini per la “grazia ricevuta” delle prove atomiche atmosferiche, di cui abbiamo ancora circa 50 tonnellate di plutonio in circolazione atmosferica, sono ufficialmente depositati a terra circa 80 Bq/m2 di plutonio 239. Vediamo allora, sulla base di questi dati ufficiali, quanto plutonio una persona nata nel 1945 ha incorporato tramite il solo respiro. Affinché 80 Bq di Pu239 si depositino in 1 metro quadro bisogna ( a seconda della velocità di sedimentazione delle particelle sospese in aria) che da circa 7300 Bq a circa 43700 Bq di questo radioelemento transitino nel tempo in 1 metro cubo. In questi scenari di contaminazione atmosferica una persona ha poco a poco inalato per forza da 1,87 Bq a 11,23 Bq ossia da 2,07 mila miliardi a 12,47 mila miliardi di atomi radioattivi di Pu239 distribuiti in ultra frammentate ed invisibili polveri metalliche sottili, per lo più insolubili.  Va inoltre rimarcato che in 50 anni le impalpabili polveri incorporate avente un’attività di 1,87 Bq hanno disintegrato nei tessuti viventi 2,9 miliardi di volte mentre quelle più numerose che emettevano 11,23 Bq hanno disintegrato 17,7 miliardi di volte a stretto contatto colle cellule.
Chi, consapevole dei milioni di punti caldi radioattivi nei tessuti viventi provocati da queste insolubili polveri ultra sottili che bombardano in modo cronico di particelle alfa le poche cellule circostanti che pervengono a raggiungere, spossandone nel tempo le capacità di restaurazione e scalfendone il DNA, può ancora stupirsi dell’impennata nel mondo intero delle patologie dal 1945 in poi ?....””
              
 
Le mie domande sulla possibilità di “raffigurare” in maniera più chiara, e comprendere quindi, l’impatto  delle particelle radioattive sull’individuo avevano finalmente avuto risposta.
Per convincermi, infine, della validità dei suoi calcoli, mi ha anche fornito di uno "strumento di calcolo” appositamente sviluppato per determinare tutti questi ordini di grandezze, e per riuscire a "tradurre", con termini numerici più comprensibili ad un profano, le oscure "formule matematiche" che vengono spesso rappresentate nelle pubblicazioni scientifiche a cura degli Organismi Istituzionali.

Cominciate anche voi, ora, a rendervene conto?
 
 
 
                     
Il rischio radioattivo e gli Organismi Internazionali incaricati del suo controllo
 
Le autorità internazionali, come l'ICRP e l'IAEA, hanno riconosciuto che i tumori della tiroide nei bambini possono essere causati da radiazioni, “probabilmente” a causa di I-131.
Essi hanno inoltre riconosciuto il nesso di causalità tra la leucemia e le radiazioni. Ma negano una relazione causale nel caso di altri tipi di cancro, o di altre malattie, nonostante il fatto che molti studi e relazioni abbiano dimostrato che moltissime patologie, tra cui i tumori, possono essere causati dalle radiazioni.
Perché tumori della tiroide e leucemie SI , e gli altri tumori NO?
Le cellule di entrambi i tessuti hanno le medesime caratteristiche strutturali di tutte le cellule del corpo umano, utilizzano per la maggior parte i medesimi meccanismi biologici…..perché loro sono così sensibili alle radiazioni e le altre no? Sarei curioso di conoscerne i motivi……..sempre che siano in grado di inventarseli!
Vediamo di fare un po’ di chiarezza:
Attualmente, al di sotto di determinate dosi di esposizione, non è possibile misurare il danno biologico in maniera certa.
E questo nonostante lo stesso International Committee for Radiation Protection (ICRP) assuma che una dose, comunque piccola, produce un danno: “non vi è soglia, la curva è fatta passare per l’origine” e, in Radioprotezione, vengono fatte le seguenti assunzioni conservative:
  • esiste una relazione lineare dose-effetto per qualsiasi esposizione, da quelle acute a quelle croniche, indipendentemente dalla intensità della dose ricevuta;
  • non vi è alcuna soglia sulla dose da radiazione, al di sopra della quale l’effetto si manifesta, ma al di sotto no;
  • tutte le dosi assorbite da un organo sono completamente additive, indipendentemente dal ritmo di assunzione e dagli intervalli temporali tra una assunzione e le successive;
  • non vi è alcun meccanismo di recupero o riparo biologico alla radiazione.

I danni causati dall’esposizione ad agenti radiogeni

Le radiazioni emesse da una sorgente radioattiva vengono irraggiate nello spazio in tutte le direzioni.
http://nuclear-energy.net/media/definicion/radioactive-particles.PNG
Una loro frazione colpisce il soggetto esposto ( ad esempio, l’uomo) cedendogli energia.
L’uomo può essere esposto alle radiazioni in due maniere:
  • per esposizione esterna, che avviene quando l’individuo si trova sulla traiettoria delle radiazioni emesse da una sorgente radioattiva situata all’esterno dell’organismo (si parla in questo caso di irradiazione)
  • per esposizione interna, che si verifica quando la sorgente radioattiva si introduce all’interno dell'organismo, a causa di inalazione per respirazione, e/o ingestione, ovvero per introduzione attraverso una ferita ( si parla, in questo caso, di contaminazione interna).
     

     






















 


Come ci si può difendere?
 
Sappiamo che è possibile frapporre degli “ostacoli” per far sì che l’individuo possa evitare di essere soggetto ad un’esposizione esterna, e il tipo di “schermatura” dipende dalla natura della radiazione:

 

Ma come è possibile difendersi dall’esposizione interna?  
 
Ben poco è stato sviluppato per far fronte a simili eventualità, anche perché la comunità scientifica si è sempre divisa, finora,  fra “colpevolisti” e “innocentisti”, impedendo, di fatto, un lineare progresso scientifico orientato in tale direzione.
Nel caso di "esposizione interna" (e quindi inalazione, ingestione)  la raffigurazione di cui sopra, che è sempre stata portata quale esempio per dimostrare l'assenza di rischio in caso di radiazioni "alfa" da parte degli "innocentisti", perde di significato.
Infatti fra un elemento radioattivo che emette radiazioni "alfa" e i nostri tessuti non sarà opposta nessuna schermatura, e l'esposizione sarà diretta
Qualsiasi sia la natura della radiazione, essa avrà una conseguenza sui nostri tessuti.
In occasione di grandi incidenti a centrali nucleari (Chernobil – Fukushima), ove vi è stato un’ingente rilascio di Iodio-131, la popolazione è stata invitata ad assumere grandi quantità di Iodio, affinchè la tiroide potesse assorbire un quantitativo ridotto del radionuclide presente nell’ambiente.
Lo Iodio-131 (uno dei pochi radioelementi per cui le cd. “autorità “ riconoscono un indiscusso rapporto causa/effetto sull’insorgenza di tumori ) è un prodotto di fissione del Uranio 235 (con una resa del 2,878%), del Plutonio e del Torio, ed è rilasciato nelle esplosioni nucleari e negli incidenti nucleari.
Decade con un'emivita di 8,02 giorni con emissione di particelle beta e di raggi gamma.
Lo Iodio-131 ha quindi un tempo di dimezzamento di circa 8 giorni. Semplificando il concetto possiamo dire che ogni 8 giorni la metà degli atomi di Iodio-131 presenti in un determinato ambiente, emettono una radiazione e cessano la loro radio-attività)
Da un lato questa caratteristica assume un risvolto positivo, nel senso che abbastanza rapidamente, nel giro di un paio di mesi circa, la quantità di emissioni ionizzanti di questo radioelemento tende a scomparire.
Ma significa anche, però, che le quantità di radiazioni assorbite da un individuo, in quel breve lasso di tempo, sono molto alte, essendo in rapporto diretto con la frequenza del decadimento.
In questi casi il cd. tempo di latenza, in caso di incidenti nucleari, cioè l’intervallo di tempo tra il verificarsi del danno (incidente) e il suo riconoscimento (cancro alla tiroide) risulta sufficientemente breve da renderlo evidente (4-5 anni), così come pure nel caso del tragico bilancio di casi di leucemia tra i sopravvissuti delle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki.
 
Ma è’ così difficile intuire che altri analoghi processi degenerativi, in considerazione di quantità (dosi) radioattive notevolmente più ridotte, ma su tempi generalmente molto più lunghi, possono dare luogo poi ad analoghe trasformazioni neoplastiche, o ad altre patologie degenerative ?
E nell’ambito di qualsiasi tessuto organico?
 
La Comunità Scientifica non si rende conto che negare questo rapporto di causa-effetto, o anche solo affievolirne la reale portata, significa rallentare indirettamente anche tutte le ricerche che potrebbero, e dovrebbero, venire sviluppate per lo studio di misure di contrasto a tali danni somatici?
 
Attualmente si riconoscono diverse fasi nel processo di formazione del tessuto canceroso, le prime delle quali non sono necessariamente manifestazioni maligne. Si passa da una iniziale variazione di interazione tra una cellula e l'altra, per arrivare, attraverso ulteriori modificazioni (perdita graduale della capacità differenziativa e inibizione dei processi apoptotici), alla capacità della cellula di riprodursi in cellule di potenziale maligno. Possono occorrere diversi anni perché questo tipo di manifestazioni si rendano visibili.
E’ così difficile intuirne la causa? O meglio, una delle cause principali?
Non è evidente che, rispetto ad una molecola di una qualsiasi sostanza cancerogena di natura chimica, che potrà senz’altro avere effetti nefasti, ma limitati dalla sua natura univoca (una molecola è una, non emette energia e, una volta scomposta, non esercita più effetti nefasti diretti) un atomo di un radioelemento, soprattutto di un elemento il cui percorso di decadimento ne prevede la progressiva trasformazione in una serie multipla (v. sotto: decadimento Uranio) di prodotti a loro volta radioattivi, diventa notevolmente più “destabilizzante” per la cellula che lo ha incorporato, e per quelle ad essa adiacenti?
Come spiegato in precedenza, quando una particella interagisce ( disintegrando) con atomi o molecole del nostro corpo, cede loro una certa energia.
Questo può avere diversi effetti sulle molecole che compongono il nostro organismo.
  • La prima fase viene detta fisica, poiché è di natura prettamente fisica: l’energia cinetica della particella è trasferita alle molecole o atomi.
  • La seconda fase è fisico-chimica, poiché quest’energia si distribuisce alle molecole o atomi, con la produzione di radicali liberi, ovvero molecole o atomi che hanno un elettrone spaiato. Per esempio, nel caso della molecola d’acqua H2O, abbiamo due radicali: H-O-H -> H+OH.
  • La terza fase è puramente chimica: reazioni chimiche tra i radicali liberi e molecole intatte possono portare alla formazione di molecole con una strutture anormale, modificandone la funzionalità.
  • L’ultima fase, che comincia pochi secondi dopo l’interazione e può continuare per anni a seguire, è di natura biologica e include lo sviluppo di danni biologici a tessuti o processi biologici.
L’azione della radiazione ionizzante sulle molecole può essere diretta, quando ne causa la ionizzazione e quindi la rottura, o indiretta, con la creazione di radicali liberi che poi causano il danneggiamento di altre molecole interagendo con loro. Nel caso di azione diretta, una particella (alfa, beta o gamma che sia) agisce sulla doppia elica del DNA, causando la rottura dei filamenti. Il danno diretto sul DNA provoca come reazione un processo riparativo che tuttavia è per sua natura soggetto ad errori. Cioè il DNA si replica e ripara le rotture ma a volte con sostituzioni di basi diverse rispetto alle originali. Nel caso dell‘azione indiretta, invece, la particella crea un radicale libero, OH-, H+, H, OH, che solo successivamente interagisce con il DNA, danneggiandolo.
Il danno al DNA si ripercuote, poi, sulla regolazione della produzione di proteine, enzimi e altre molecole endocrine che regolano il corretto  funzionamento cellulare.
 
Ionizzazione e danno biologico
 
I danni biologici provocati dalle radiazioni ionizzanti possono, come prima accennato, essere definiti diretti o indiretti.
  • I danni diretti provocano “direttamente” la rottura dei legami chimici all’interno delle molecole (ad esempio il DNA ) oppure la formazione di radicali liberi.
  • I danni indiretti derivano invece dall’azione dei radicali liberi (ricchi di gruppi OH-) formatisi in seguito ai danni diretti. L’efficacia dell’azione indiretta della radiazione dipende dalla concentrazione di radicali liberi e di ossigeno all’interno della cellula.





















 
Nei tessuti viventi i danni maggiori conseguono all’azione indiretta e le interazioni che portano alla formazione di radicali liberi avvengono più frequentemente in seguito alla ionizzazione dell’acqua (H+ - OH-) perché, naturalmente, essa, all’interno delle cellule,  è la molecola più abbondante (radiolisi).
 
I radicali liberi
 
I Radicali Liberi sono atomi o raggruppamenti di atomi aventi, nell’orbitale più esterno, uno o più elettroni spaiati, ovvero un numero dispari di elettroni, indipendentemente dalla carica elettrica espressa (positiva, negativa, neutra).
L’elettrone spaiato dei Radicali Liberi tende ad essere scambiato più o meno facilmente a seconda del potenziale di ossido-riduzione, ed è proprio da questa caratteristica che dipende l’estrema reattività di tali specie chimiche.
Sappiamo che in natura ogni elemento tende alla stabilità, in chimica la stabilità è assicurata dall’accoppiamento degli elettroni intorno al nucleo: i Radicali Liberi (che hanno un elettrone spaiato) tenderanno, quindi, a raggiungere la propria stabilità innescando tutta una serie di reazioni volte a strappare un elettrone (processo di ossidazione) da qualsiasi altra specie chimica al fine di ristabilire la coppia elettronica e raggiungere la stabilità.
I Radicali Liberi sono classificati in base alla natura dell’atomo cui appartiene l’elettrone spaiato: esistono quindi i Radicali Liberi dell’Azoto, del Carbonio, del Cloro e dell’Ossigeno.
I Radicali più importanti, diffusi e pericolosi sono sicuramente quelli dell’Ossigeno e fra questi, quelli di maggiore interesse biologico sono:
il Radicale Ossidrile (HO+) e il Radicale Superossido (O2+), i quali, insieme al Perossido d’Idrogeno (H2O2) e all’Ossigeno Singoletto (1O2) che non sono radicali, costituiscono le Specie Reattive dell’Ossigeno (Reactive Oxygen Species, ROS).
I ROS che quindi comprendono specie radicaliche e non radicaliche, sono molecole tutte derivanti dall’Ossigeno, accomunate dalla tendenza di ossidare i vari substrati (carboidrati, proteine, lipidi, nucleotidi…).

Come si formano i radicali liberi?
Dal punto di vista chimico i Radicali Liberi si formano soprattutto mediante un meccanismo di scissione omolitica, o mediante interazione con metalli di transizione, o per radiolisi.
Con il termine di scissione omolitica si intende la divisione di una molecola a livello di uno dei suoi legami covalenti per effetto della somministrazione di energia con generazione di due nuove specie chimiche, ciascuna con un elettrone spaiato.
Nell’interazione con i metalli di transizione, l’elettrone generato dall’ossidazione di un metallo di transizione in forma ionica (es. da Fe2+ a Fe3+ ) spezza un legame covalente di una molecola bersaglio, generando così un Radicale Libero e un anione. Alternativamente, l’elettrone richiesto per ridurre un metallo di transizione in forma ionica (es. da Fe3+ a Fe2+) viene estratto dal legame covalente di una molecola bersaglio, che si decompone in un radicale libero e un catione.
Con la radiolisi (reazione chimica di dissociazione provocata da radiazioni) si verifica, in particolare con la scissione delle molecole d’acqua, comune o pesante, in radicali idrogeno, H o D, e ossidrile OH o OD, per effetto di radiazioni.  La successiva combinazione dei radicali porta alla formazione di idrogeno molecolare, o di deuterio, e di ossigeno, quest’ultimo derivando dalla decomposizione di acqua ossigenata comune o deuterata formatasi dalla ricombinazione dei radicali ossidrile.
La radiolisi dell'acqua, la cui comprensione permette di valutare il danno arrecato alle cellule in seguito all'esposizione alle radiazioni, è una complessa cascata di reazioni che porta alla produzione, attraverso specie ioniche e radicaliche intermedie, di composti ad elevato potere ossidante quali il perossido di idrogeno (H2O2) e il superossido di idrogeno (HO2).
                                                                                                                               

 
L'acqua,  per le sue caratteristiche ubiquitarie e quantitative,  costituisce la molecola con la quale ha luogo pressoché costantemente un'interazione della particella ionizzante.
 
Anche il nostro organismo produce radicali liberi. Perché?
Negli organismi viventi la produzione dei Radicali Liberi può essere provocata da agenti esterni oppure essere l’espressione di un’attività metabolica endogena.
Gli agenti esterni che provocano la formazione di Radicali Liberi possono essere di natura fisica (es. radiazioni ionizzanti, UV…), di natura chimica (ozono, inquinanti atmosferici, idrocarburi aromatici, pesticidi, farmaci, conservanti, coloranti, alimenti intolleranti…) o di natura biologica (batteri, virus…).
Non bisogna assolutamente dimenticare che all’interno degli organismi viventi la produzione di Radicali Liberi è strettamente legata ai normali processi vitali e, come tale, è un fenomeno “fisiologico” che avviene continuamente nel corso di reazioni di ossido-riduzione per effetto di meccanismi di natura sia enzimatica che non enzimatica. Per questo i Radicali Liberi sono definiti insostituibili “compagni di viaggio” della vita di qualsiasi organismo.
Sono insostituibili proprio a causa della loro azione ossidante: essi, infatti, giocano un ruolo importantissimo nei processi reattivi quali infezioni ed infiammazioni.
Uno dei principali siti di formazione dei Radicali Liberi è, infatti, la membrana plasmatica dei leucociti attivati: in caso di infezioni, tali molecole prodotte immediatamente dai leucociti, nella loro ricerca dell’elettrone per il raggiungimento della stabilità, vanno ad attaccare gli agenti infettanti, indebolendone la parete e rendendoli più facilmente accessibili alla fagocitosi e, contribuendo, in definitiva, alla loro distruzione.
Altro sito importantissimo di formazione dei Radicali Liberi è rappresentato dai mitocondri durante il processo di respirazione cellulare, e ancora, non dobbiamo dimenticare il reticolo endoplasmatico liscio durante la trasformazione di xenobiotici, e il citosol durante varie trasformazioni metaboliche.
 
Cosa fanno i radicali liberi?
I Radicali Liberi sono, quindi, specie altamente reattive che vengono prodotte fisiologicamente da ogni cellula del corpo, soprattutto a livello mitocondriale durante la catena respiratoria, ma non solo.
Durante la fosforilazione ossidativa mitocondriale, infatti, parte dell’ossigeno viene utilizzato per formare Radicali Liberi.

Perché la cellula produce queste molecole se sono così pericolose?
Perché, proprio per la loro “velenosità”, i Radicali Liberi vengono prodotti e utilizzati per “avvelenare”, cioè uccidere eventuali patogeni quali virus e batteri penetrati nell’organismo.
Sono ( in quantità fisiologiche)  le “armi” di difesa della cellula!
I Radicali Liberi vengono prodotti sempre nelle giuste quantità; quando si verifica un aumento del loro numero, interviene il sistema anti-radicalico (anti-ossidante) cellulare per la neutralizzazione dei Radicali in eccesso e il ripristino del normale equilibrio radicali / anti-radicali.
Quando la quantità dei Radicali Liberi è esageratamente alta, tanto da non riuscire ad essere neutralizzata dal sistema anti-ossidante, si genera una condizione patologica chiamata stress ossidativo.
Lo stress ossidativo si ha anche quando esiste un sistema anti-ossidante qualitativamente e/o quantitativamente carente.
Cosa succede alla cellula in caso di “stress ossidativo”?
Quando la cellula si trova in una condizione di stress ossidativo per eccesso di Radicali Liberi, questi ultimi ingaggiano la loro personale lotta per la sopravvivenza: essendo carenti di un elettrone, cominciano a cercarlo disperatamente attaccando le strutture cellulari.
E così attaccano le membrane che sono costituite da fosfolipidi, molecole ricche di elettroni (perossidazione lipidica): in seguito a questo attacco le membrane perdono la loro continuità strutturale e funzionale.
Attaccano il DNA cellulare, provocando mutazioni spesso pericolosissime.

Attaccano le proteine, spesso proteine enzimatiche, degradandole e quindi modificandole o inattivandole.
 

 
Le malattie degenerative e lo stress ossidativo
 
Col termine di STRESS OSSIDATIVO si intende una particolare forma di stress indotto dalla presenza, nell’organismo vivente, di una quantità eccessiva di Radicali Liberi, per un’aumentata produzione di questi e/o per una ridotta efficacia dei meccanismi di difesa anti-ossidanti.
Indipendentemente dalle cause dello stress ossidativo, esso è ritenuto responsabile o co-responsabile di lesioni cellulari che sono alla base dell’invecchiamento precoce e di numerose patologie definite, appunto, da stress ossidativo quali: aterosclerosi, infarto, ictus, obesità, diabete, AIDS, morbo di Parkinson, artrite reumatoide, demenza senile, sclerosi multipla…
Infatti i Radicali Liberi, non più controllati dal sistema antiossidante, possono attaccare ed ossidare qualsiasi substrato organico (glucidi, lipidi, amminoacidi…) con cui vengono a contatto generando nuovi Radicali Liberi, i quali a loro volta, andranno ad attaccare ed ossidare altri substrati organici per formare ulteriori Radicali Liberi in una vera e propria reazione a catena che può non avere fine.
Durante tali reazioni a catena, nelle cellule, si formano gli Idroperossidi (R-OOH), dei veri e propri veleni che la cellula immette nel sangue e negli altri fluidi biologici.
Non è da escludersi, quindi, che lo stress ossidativo possa configurarsi come uno dei principali  fattori scatenanti della catena di eventi che, a livello cellulare, portano alla formazione delle prime cellule tumorali.
 
 I sistemi anti-ossidanti  (al momento… l’unica linea di difesa per cercare di tamponare i danni )
Come abbiamo detto, in condizioni normali, la formazione di Radicali Liberi è tenuta sotto controllo dal sistema di difesa anti-ossidante che ha una ben precisa compartimentazione a livello cellulare.
  • siccome i Radicali di formano generalmente a livello delle membrane (plasmalemma, mitocondri, reticolo endoplasmatico…), è in queste ultime che si concentrano i cosiddetti antiossidanti lipofili, quali la Vitamina A, la Vitamina E, l’Alfa-tocoferolo, il Beta-carotene. Tali sostanze costituiscono la prima linea di difesa dall’attacco dei Radicali Liberi
  • la successiva linea di difesa comprende una serie di sostanze idrosolubili, quali la Vit. C, il Glutatione, la Vit. B, la Vit. P
  • il sistema antiossidante è completato (terza linea) da un gruppo di enzimi, quali la Glutatione perossidasi, la Glutatione redattasi, la Superossidodismutasi e la Catalasi.
I due sistemi, quello enzimatico e quello non enzimatico, agiscono in maniera sinergica e strettamente coordinata. I meccanismi funzionali attraverso i quali i sistemi antiossidanti riescono ad inattivare la potenziale lesività dei Radicali sono molteplici. Infatti, alcuni antiossidanti agiscono in maniera preventiva, impedendo proprio l’avvio delle reazioni radicaliche;  altri interagiscono direttamente con i Radicali inattivandoli; altri intervengono dopo che il danno è stato instaurato riparando le strutture.
In condizioni fisiologiche esiste un equilibrio dinamico fra i fattori pro-ossidanti e fattori anti-ossidanti.
Quando il sistema antiossidante non è più in grado di contrastare i Radicali Liberi, si rompe l’equilibrio e la cellula si trova a dover subire una situazione pressoché incontrollabile.
Come potrà comportarsi in una simile situazione? (leggi: la coscienza delle cellule)
E’ quindi intuibile che, in una situazione di stress ossidativo (situazione a cui, molto probabilmente, qualsiasi individuo è sottoposto) unincremento sensibile  e adeguatamente calibrato,  di tali sostanze possa ridurre  il rischio di danni irreversibili.
Questo, in effetti, ma in maniera alquanto superficiale, ci viene consigliato:  “”…..mangia più frutta e verdura!”
Ma se siano diventati, noi individui, una sorta di “filtri” di elementi radioattivi, questi consigli valgono ben poco. Quanto potranno difendermi le sostanze contenute nella mia insalatina quotidiana, seppure abbondante?
Purtroppo, la Comunità Scientifica si limita a questo.
Manca tutta l’informazione “a monte” e lo sviluppo di un progetto sanitario con più ampie vedute.
 
La strategia preventiva
 
La somministrazione di supplementi vitaminici , alla luce di tali considerazioni, non andrebbe “obbligatoriamente consigliata”?
Lo studio per lo sviluppo e la calibrata somministrazione di integratori enzimatici non dovrebbero essere presi in seria considerazione?
La frammentazione delle specializzazioni ha fatto perdere, oramai, una visione globale alla Scienza? Il Chimico capisce solo la Chimica, così come il Fisico o il Biologo? Non si rendono conto che le loro discipline sono solo singole branche di un sapere UNICO. Non c’è nessuno, ai vertici nel mondo, che disponga di tali qualità? E’ così incompetente la Dirigenza degli Organismi Internazionali? O persegue altri obiettivi?
Non sarebbe opportuno che gli Organismi Internazionali comincino a concentrarsi di più su tali aspetti, piuttosto che limitarsi ad una sterile elencazione di principi dietetici, e cominciare a sviluppare invece una precisa serie di presidii farmacologici ?
O anche questa reticenza, questa “timidezza”, sono frutto del timore di dover riconoscere gli errori del passato?
 
 
La divulgazione scientifica ( e la politica di minimizzazione del rischio)
 
Alla fine del 1958, gli esperimenti nucleari avevano prodotto sul pianeta circa 65 Kg. di stronzio90, con una radioattività totale di 8,5 milioni di curie; la radioattività del cesio137 alla stessa epoca ammontava a 15 milioni di curie. Il fall out degli esperimenti americani e britannici, di grande potenza e, tutti senza eccezione, in località nei pressi dell'equatore si sono distribuiti uniformemente sopra l'intero globo. Tra il 1952 ed il 1957, gli USA eseguirono 90 test nel poligono nucleare del deserto del Nevada. Quelle esplosioni rilasciarono una quantità di iodio 131 superiore di dieci volte a quella che si sprigionò dalla centrale di Cernobyl.
Fino al 1983, i test nucleari seguirono il ritmo forsennato di uno alla settimana. Nel solo 1968, gli USA eseguirono ben 55 esplosioni sotterranee, i russi 18.
In questo desolante panorama di demenza si sono levate ogni tanto voci, purtroppo isolate e immediatamente e ufficialmente “smentite”, che hanno denunciato chiaramente tutta la micidiale pericolosità di esperimenti i quali in realtà non erano altro che simulacri di quella guerra che le superpotenze non potranno mai combattere senza sterminarsi a vicenda. Hermann Müller, premio Nobel 1946 per la medicina, ha reso noti per esempio senza mezze misure ( e già negli anni ’50), i gravissimi danni genetici causati dalle radiazioni provenienti dalle esplosioni sperimentali. Per questa sua decisa critica, il professor Müller ha dovuto affrontare la censura ed il sabotaggio da parte della Commissione per l'Energia Atomica (AEC), che gli vietò di presentare la sua relazione alla Conferenza di Ginevra per la pace (1955). Questi ostacoli però non gli hanno impedito di far conoscere al pubblico la verità sui test nucleari: "Qualsiasi dose di radiazioni è geneticamente indesiderabile - scriveva Müller in quegli anni - Gli esperimenti atomici in corso provocheranno certamente un danno alle generazioni future. Non solo: ogni radiazione assorbita aumenta le probabilità di un individuo di morire in anticipo sul termine assegnategli dalla Natura. In questo senso si può affermare che le esplosioni sperimentali hanno danneggiato sinora almeno trecentomila persone. La percentuale, se riferita a tutta la popolazione mondiale, è piccola, ma la cifra è enorme. Quanto al danno genetico, non è necessario pensare a mostri con due teste: è certo, però, che nei prossimi duemila anni nasceranno individui più deboli, meno longevi, affetti da deformità più o meno accentuate, da malattie in parte nuove. Riprendere gli esperimenti nucleari è equivalso a sparare a raffica sulle generazioni future".
Queste coraggiose ed oneste dichiarazioni venivano rilasciate nel periodo in cui il Servizio di Sanità Pubblica degli USA garantiva che il fall-out era "nei limiti della sicurezza" ed Edward Teller (uno dei “padri” dell’atomica) amava ripetere che “”..la ricaduta di pulviscolo radioattivo esponeva allo stesso danno biologico causato da una sigaretta fumata ogni due mesi.””
I tecnocrati non sanno vedere al di là delle loro teorie; non possono capire nulla che non sia compreso nei loro libri; non sono in grado di prevedere niente che non sia previsto nei simboli delle loro formule. Ciò che essi ancora non sanno, deve inevitabilmente adattarsi agli schemi delle loro conoscenze, anche quando si imbattono in realtà e fenomeni mai esistiti prima in natura.
Come possono escludere certe conseguenze di certi esperimenti, se in tutta la storia della terra non è mai successo quello che essi hanno voluto fare? Come potevano garantire che lo stronzio 90, distribuito su tutto il pianeta dalle esplosioni nucleari, "non poteva destare preoccupazioni", se lo stronzio 90 non esisteva sulla terra prima dei test!  Se io mi portassi a casa un animale sconosciuto, e aspettassi immobile di vedere se è mansueto o feroce, sarei saggio o imbecille? Se mangiassi un fungo sconosciuto e aspettassi tranquillo di morire avvelenato o sopravvivere, sarei saggio o cretino?
Questo è stato, per decenni, il modulo di pensiero degli scienziati tecnocrati.
E c'è il serio timore che si continui così; anche per la biotecnologia.
 
E pensare che eravamo stati avvertiti:
””…l’uomo non separi  ciò che Dio ha unito. (Matteo.19,8)””
 
(leggi anche "Il genocidio planetario - parte I")