Troppo piccola la sala conferenze di piazzale Redecocca per contenere il pubblico partecipante all'incontro per ricordare Luigi Di Bella a 10 anni dalla morte, quando aveva 91 anni. Si è dovuto far ricorso al corridoio per dare posto a tanta gente anche di altre città. Ma di autorità nemmeno l'ombra. Ad organizzare l'incontro è stata l'associazione “Terre e identità”, il cui presidente Gianni Braglia ha fatto da moderatore durante gli interventi, e il colloquio con il pubblico, dei figli Adolfo, autore del volume “Il poeta della scienza. Vita del professore Luigi Di Bella”, pubblicato lo scorso anno, e di Giuseppe, medico a Bologna, che dà continuità al lavoro del genitore, e della giornalista de “Il Giornale” Goia Locati. Una commemorazione affettuosa da parte dei figli e dei pazienti “miracolati” dalla cura del professore, con inevitabili accuse alle autorità che brillano per assenza e per promesse non mantenute, e pure nei confronti dell'apparato dei “colletti bianchi”.

Il primo attacco viene sferrato da Adolfo che ricorda come «il 15 gennaio 1998 il consiglio comunale con una delibera, passata con qualche mal di stomaco, respingeva con sdegno le incredibili accuse di alcuni medici di fama contro mio padre universalmente riconosciuto per la sua instancabile ricerca, studio e volontariato a favore dei malati. La città gli doveva un riconoscimento che deve ancora arrivare. Però il sindaco di allora, Giuliano Barbolini, dimostrò indipendenza di giudizio e dignità. E dispose che mio padre fosse accompagnato da un servizio di guardie municipali a Fanano dove riposa».

Si parlò di dedicargli una strada, un'ala di un istituto universitario. «Noi ci saremmo accontentati che la famosa via Mariannini prendesse il suo nome. Poi si è adottato - continua Adolfo - la strategia di far passare il tempo e di sfruttare la smemoratezza delle persone per non fare nulla, ricorrendo a strani e pretestuosi argomenti. Luigi Di Bella non ha bisogno di una via, di una piazza e nemmeno di una città da intitolare. A dispetto di quelli che lo hanno contestato mio padre è già passato alla storia dell'umanità e della medicina. E i nostri nipoti e pronipoti lo studieranno sui libri di scuola. Modena, dove è vissuto 63 anni, ha perduto una grande occasione per conciliarsi con lui, venerato dai pazienti e dagli studenti che ha sempre aiutato». E non tenera l'accusa di malcostume contro il mondo accademico e «la sua sorda ostilità, nonostante lo sfruttamento continuo di quelli che venivano di sera a casa per informarsi sulle sue esperienze e sui risultati».

L'affondo è di Giuseppe Di Bella che ha raccolto l'eredità scientifica del padre. «Si investono cifre sbalorditive senza pervenire a nulla di fatto concreto. Se voi guardate la stragrande maggioranza dei tumori solidi non c'è un caso guarito con terapia medica. Oggi nessuno è in grado di sostenere di ciò. La sperimentazione è un dato di fatto non una realtà virtuale. Amano le censura, la violenza scientifica. Si possono utilizzare solo le cure ministeriali, che sono coercitive. Costituiscono il fallimento della sperimentazione. Le comunità scientifiche pontificano, annullano la libertà del medico (e quindi del paziente), che non può prescrivere ciò che ritiene opportuno in base a certezze scientifiche, ben documentate. Siamo in un abisso di immoralità che non ha precedenti nella storia. Impongono terapie coercitive che delegittimano la sperimentazione. La ricerca che si svolge al di fuori del potere viene bloccata. Non si può curare la mammella senza mutilarla, altrimenti non è etico. Il comitato etico crea ulteriori barriere. Micidiale l'effetto della chemioterapia. Se non si ha un miglioramento qualitativo della vita, vuol dire che la sperimentazione è fallita. Questi artisti del falso hanno un tale controllo, un monopolio da poter intimidire. Manca la farmacologia della prevenzione. La contrabbandono con la diagnostica precoce». Giuseppe Di Bella: «Avete di fronte un sistema di criminalità inimmaginabile. Sono dei vigliacchi. La verità dà fastidio. Vi invito a mobilitarvi».

di Michele Fuoco

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