Di Bella: una lezione che non tramonta. 
(Nuovo Modena Flash – 15 aprile 2009 . Autore: Prof. Fabio Marri) 

L’ultima rilevazione italiana ci dice che ogni anno muoiono di cancro nel nostro Paese circa 160.000 persone…., la popolazione di una città come Bergamo, Perugia o Catania. Il cancro è l’unica malattia ad ampia diffusione che in parte sfugge ancora la controllo della medicina e della ricerca…..” Non è un apocalittico disfattista a scrivere queste cose, ma l’ultima circolare dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, seppure convinta che nella cura al cancro “la strada intrapresa è quella giusta”, intendendo il consueto trattamento con chirurgia, radiazioni e chemioterapia. Eppure la circolare prosegue: ”con la scoperta che la causa del tumore risiede nelle alterazioni dei geni, ogni paziente verrà curato in base al profilo genico del proprio tumore. Si eviteranno così terapie di massa che in alcuni casi possono essere inutili, inefficaci e persino dannose per l’organismo”. 
Leggendo queste parole, viene in mente chi le diceva dieci, venti e più anni fa, e per questo veniva osteggiato dalla scienza ufficiale: il “nostro” professor Luigi Di Bella, morto a Modena il 1° luglio del 2003, ma la cui terapia tiene ancora in vita pazienti che a lei si affidano; e forse, con percentuali di successo non tanto terribili come quelle assegnate alle cure ufficiali. Se non altro, c’è ancora una M. Grazia Mancarella che nel 2008 ha ricordato la propria guarigione grazie al metodo Di Bella, col libro il Professore della speranza, che parte dal calvario dell’autrice affetta da cancro al seno, operato e recidivo, fino all’affidarsi a Di Bella, che in otto mesi le fece scomparire il tumore Il clamore suscitato dalle richieste dei pazienti di Di Bella, e soprattutto da coloro che volevano esserlo ma ne erano impediti dal burocratismo del sistema sanitario italiano, indusse il ministero della Sanità di allora ad avviare una “sperimentazione” su circa 400 malati, per di più in strutture sanitarie ostili o indifferenti, col risultato che dopo pochi mesi la terapia venne dichiarata 
scientificamente infondata e inutile nella pratica. In verità, anche osservatori esterni neutrali notarono le pecche della sperimentazione, cui furono votati solo malati allo stadio terminale e che non reagivano più alle cure ‘classiche’ (ad alcuni, addirittura, erano stati dati tre giorni di vita), ma dei quali, nonostante tutto, il 37% sopravviveva alla data in cui la sperimentazione fu chiusa. 
Sta di fatto che, a sei anni dalla morte del professore, esistono ancora in Italia medici che seguono il metodo Di Bella, eventualmente conciliandolo con le altre terapie (come quella chirurgica, quale primo attacco: ma Di Bella ha insegnato che non è necessario estirpare il tumore, basta non lasciarlo crescere finché si estinguerà da solo): a Modena in via S. Giovanni Bosco 103 è attiva l’AIAN, “Associazione Italiana Ammalati Neoplastici”, intitolata alla prediletta allieva di Di Bella, Maria Teresa Rossi, ora sepolta col Maestro nel cimitero di Fanano. 
Proprio nel nome di Deda Rossi riscopriamo i lati più umani del Professore, che – per assurdo – ne uscirebbe un Grande anche se la sua terapia anticancro risultasse un’illusione. Un Grande, di fronte a quei piccoli dottori e professori in carriera che (per fare un esempio citato da Vespa) volevano ridurlo a studiare le differenti qualità delle marmellate in commercio, o gli sabotavano le ricerche giungendo sino a uccidergli i topolini usati per gli esperimenti (la persecuzione si intensificò dopo il 1974, in seguito a una conferenza tenuta a Bologna in cui Di Bella espose i suoi successi nella lotta alla leucemia). Contraddetti, i baroni e baronetti, dagli studenti stessi, che durante le contestazioni e occupazioni del Sessantotto permettevano al solo Di Bella (uno che non si prese mai un giorno di vacanza, e persino nella settimana di Pasqua faceva lezioni) di varcare i portoni universitari. Vecchio vizio, quello del Professore, di farsi voler bene dal basso: come quando, sfollato durante l’ultima guerra a Bastiglia (da dove raggiungeva quotidianamente Modena in bicicletta), visitava gratis la gente; o quando scriveva lavori scientifici per conto di altri medici (qualcuno, dal S. Orsola di Bologna nel 1960 gli regalò una “Bianchina”, costringendo il Professore a prendere una patente che fino al momento non possedeva). Su quella Bianchina, dopo la morte nel 1988 di Deda Rossi, ogni domenica Di Bella raggiungeva il cimitero di Fanano per raccogliersi in meditazione davanti alla tomba dell’allieva, cui dedicò, anno per anno, toccanti libretti di ricordi e meditazioni: fino a volerle essere sepolto vicino, ed alla comune intitolazione della biblioteca fananese Rossi-Di Bella che raccoglie i libri di entrambi. 
L’umanità del professor Di Bella risalta anche dal libretto Etica Professionale, stampa di una conferenza tenuta a Clusone (presso Bergamo) nel 1985: dove si notava la differenza tra i “medici che scrivono” (purtroppo, la maggioranza) e i “medici che visitano”, come ovviamente faceva Di Bella (senza far spogliare il paziente, per rispetto a lui), infallibilmente capendo quale era il problema e quale potesse essere la cura. 
In vita, Di Bella fu accusato dal consorzio medico di non aver divulgato con pubblicazioni scientifiche le sue teorie: asserzione la cui falsità è dimostrabile entrando in una qualunque biblioteca universitaria, sfogliando i numerosi articoli (fin dagli anni quaranta) sul “Bollettino della Società Medico Chirurgica di Modena”, o prendendo in mano la Raccolta di pubblicazioni scientifiche edita nel 1996: per dirne una, Di Bella scoprì le funzioni dell’Epo (ovviamente, non per gli sportivi truffatori ma per gli affetti da patologie ematiche) e della melatonina, raccomandò le vitamine piuttosto che gli antibiotici e, in qualche caso, delle vaccinazioni. Gli aggiornamenti sono disponibili sul sito curato dal professor Giuseppe Di Bella www.metododibella.org, mentre un 
forum è aperto sull’altro sito, divulgativo ma rigoroso, www.dibellainsieme.org
Un merito riconoscono tutti, anche i detrattori più convinti, a Luigi Di Bella: di aver contribuito a scoperchiare, con la sua attività disinteressata e generosa (il laboratorio di via Marianini non beneficiò di una sola lira pubblica, ma venne costruito coi proventi della liquidazione del Professore, che rifiutava anche le offerte in denaro dei suoi pazienti guariti), un certo sistema medico, fortemente legato col Potere e con le case farmaceutiche, per il quale l’essere umano non è un fine ma un mezzo per autoaffermarsi e consolidare potentati economici. E ripeto: anche a prescindere dall’efficacia della terapia (della quale peraltro, di soppiatto, si vanno impadronendo anche i luminari dell’oncologia tradizionale), è la lezione generale, di metodo e di onestà, data da Luigi Di Bella a brillare in un panorama rabbuiato, oggi più che mai, da troppe ombre. 
Fabio Marri