FIRENZE, 13 LUGLIO 2005 - Negarono una cura specifica a due malati di cancro, un uomo di Lastra a Signa e una donna di Vicchio, che furono così costretti ad andarsene da Careggi e a ricoverarsi in condizioni gravamente debilitate all’ospedale di Cesena.

Qui furono finalmente sottoposti a quel trattamento antitumorale a base di somatostatina marcata che a Firenze era stato loro negato. Per questo motivo, il procuratore capo Ubaldo Nannucci e il sostituto Valentina Manuali hanno chiesto nei giorni scorsi il rinvio a giudizio per l’ex direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera di Careggi, Enrico Desideri, ora a Pisa, e per il dottor Cesco Pieroni, direttore dell’Unità operativa di Medicina nucleare 2, sempre a Careggi.

A carico del primo, difeso dagli avvocati Lorenzo Zilletti e Paolo Stolzi, la procura ipotizza il reato di abuso d’ufficio; mentre il secondo, assistito dall’avvocato Francesco Maresca, è chiamato a rispondere di falso ideologico. A decidere l’eventuale rinvio a giudizio dei due sarà, il 21 settembre prossimo, il giudice per l’udienza preliminare Gaetano Magnelli.

I fatti risalgono all’estate del 2003 e l’inchiesta del sostituto procuratore Manuali venne aperta in base ad alcuni esposti presentati da medici operanti a Careggi. I due pazienti G. P. e G. B. avevano chiesto di essere sottoposti a un trattamento con somatostatina marcata, una molecola radioattiva che, pur essendo ancora considerata sperimentale, è spesso usata nelle terapie antitumorali.

Ai due malati venne detto ripetutamente no e fu lo stesso Desideri a negare l’esecuzione del trattamento rispondendo alle lettere sull’argomento inviategli dallo stesso Pieroni, dal direttore dell’unità di patologia chirurgica seconda e dal direttore della radioterapia di Careggi su sollecitazione degli stessi pazienti.

Questo però, sostiene la procura, in violazione di norme che non attribuiscono al direttore sanitario la competenza in ordine alle scelte terapeutiche. Serena la replica di Desideri: «Mi sono limitato a invitare gli sperimentatori - ha detto ieri - a seguire le procedure previste dalla legge nell’interesse dei pazienti e dell’azienda». Più risoluto uno dei suoi difensori, l’avvocato Zilletti: «Non credo che qualcuno possa pensare che abbia agito intenzionalmente per procurare danno a dei pazienti».

L’accusa di falso ideologico nei confronti di Pieroni, invece, nasce dalla lettera che lui stesso inviò all’assessore regionale alla sanità Enrico Rossi, al quale i due malati si erano rivolti per chiedere aiuto.

In questa lettera - è la tesi della procura - il direttore di medicina nucleare avrebbe falsamente attestato che il radiofarmaco utilizzato nel trattamento (l’octeotride radioattivo) non era in commercio per motivi logistici, a causa della perdita di potenza terapeutica durante il trasporto e che, per tale motivo, doveva essere prodotto nella sede di utilizzo.

Tuttavia, dice l’accusa, le cose non stavano così: il farmaco risultava regolarmene in commercio, tanto da venire utilizzato nell’Istituto europeo di oncologia a Milano e nell’ospedale di Cesena, cui viene spedito per via aerea, così come si usa per numerose altre specialità medicinali di produzione estera, nella quantità necessaria al trasferimento dal luogo di produzione, ossia la Svezia.