“È altissimo il tasso di insuccesso della chemioterapia che, richiesta nell'80% dei malati di tumore polmonare, funziona solo nel 50-70% dei casi se la malattia è localizzata e nel 30% dei casi se è metastatica, cioè diffusa”. Lo ha ammesso, secondo quanto riferisce l'Ansa, Giulia Veronesi, vicedirettore della Chirurgia toracica dell'Istituto Europeo di Oncologia, nell'illustrare oggi una fra le tre più promettenti linee di ricerca contro il cancro del polmone intraprese all'Ieo. Proprio dalla constatazione dei frequentissimi insuccessi della chemioterapia e dalla necessità di scoprirne il motivo, è nata l'idea di andare a identificare quali sono i pazienti che hanno un tumore polmonare sensibile ad essa e solo a loro, dunque, somministrarla. “Finora - ha spiegato Giulia Veronesi - il trattamento chemioterapico è stato scelto in modo empirico. Con questa ricerca diventerà un trattamento mirato solo a un particolare gruppo di pazienti, poichè è importante ridurre o evitare cure che, oltre a essere inefficaci, comportano potenzialmente effetti collaterali molto pesanti”. Per questo, sempre secondo quanto riferisce l'Ansa, i ricercatori dell'Ieo avvieranno uno studio di farmacogenomica che ha l'obiettivo di identificare quei geni che possono predire la risposta dell'organismo ai farmaci (fattori predittivi). “In pratica - ha spiegato la dottoressa - preleveremo pezzetti di tumore, ne analizzeremo gli enzimi e i geni e andremo a confrontarli con i risultati del trattamento chemioterapico”. Una volta saputo quali sono i fattori sensibili ai chemioterapici o quelli che sviluppano resistenza a questi farmaci, basterà andare ad analizzare il profilo genico di ogni malato per scoprire se li contiene o meno, se cioè è sensibile alla chemio oppure no. “E in questo modo - ha concluso la ricercatrice - contiamo di poterci avvicinare alla personalizzazione della cura, che significa più efficacia e meno tossicità”. La seconda linea di ricerca, illustrata dal professor Umberto Veronesi, prende in considerazione la ‘radioterapia metabolica’, che sfrutta l'affinità tra due molecole per portare le radiazioni sul luogo dove servono a distruggere le cellule tumorali e solo su quello, risparmiando il tessuto circostante. Questo sistema, utilizzato finora solo sui tumori cerebrali, “sfrutta l'attrazione fatale - ha spiegato il professore - tra due sostanze, la avidina e la biotina. Subito dopo l'atto chirurgico, con la prima sostanza in forma di talco vengono ‘verniciate’ le parti che erano a contatto diretto col tumore asportato. Il giorno dopo si inietta in vena la seconda sostanza ‘caricata’ con una ‘bomba’ radioattiva (in genere si usa Ittrio 90). La biotina è attratta solo dalla avidina e viaggiando in tutto l'organismo andrà a localizzarsi solo su di essa, dove farà esplodere la sua carica radioattivà”. Veronesi ha spiegato che i tumori cerebrali sono fra quelli più difficili da curare, tanto che il 90% dei pazienti muore entro l'anno. Ma questo sistema, adottato contestualmente a un intervento chirurgico dopo recidiva, ha permesso un recupero nel 30% dei pazienti. L'intendimento è ora quello di sperimentare il metodo nel tumore del polmone. Una terza ricerca ha come obiettivo la riduzione della tossicità della radioterapia, applicando al tumore polmonare la Iort (radioterapia intraoperatoria) già usata con successo nel tumore della mammella. “Il polmone - ha detto Giulia Veronesi - è un'area difficile da irradiare. Per questo abbiamo esplorato nuove strategie. In particolare, con la Iort, resa possibile da uno strumento portatile da posizionare accanto al letto operatorio, è possibile somministrare la radioterapia subito dopo la chirurgia, convogliando una singola dose molto elevata (equivalente a 2-3 volte la stessa dose somministrata con radioterapia esterna convenzionale) direttamente sulla parte da trattare”.

Tratto dal sito di Vincenzo Brancatisano: www.vincenzobrancatisano.it