GENTE – 15 luglio 2003 – Anno XLVII N.29 - pp. 30-33. 
“La missione di mio padre non morirà insieme con lui”. 
DI ROBERTA PASERO


Parla il figlio del professor Di Bella, che con la sua terapia anticancro divise l’Italia. “Papà ha avuto tanti nemici e ha sofferto molto per il modo in cui lo hanno ostacolato”, racconta il figlio Giuseppe. 

Modena, luglio 2003 
Se n’è andato, per i postumi di una grave crisi cardiorespiratoria il Professor Luigi Di Bella, 91 anni, il “dottor Speranza”, com’era chiamato da molti suoi
pazienti. Di Bella era un fisiologo modenese che ebbe il coraggio di sfidare la medicina ufficiale non soltanto con una terapia anticancro, contrapposta a quella tradizionale, fatta di chemioterapia dagli effetti collaterali spesso devastanti, ma anche inseguendo il principio più importante nella tutela della salute: la libertà della cura. Una multiterapia che suscitò grandi polemiche tra gli oncologi esponenti della medicina ufficiale e gli uomini politici divisi sull'efficacia della cura: si basava su un  cocktail di sostanze principalmente a base di retinoidi, melatonina, somatostatina e bromocriptina in grado di mettere in moto i meccanismi di difesa dell'organismo, arrestando la crescita tumorale e aumentando la capacità delle cellule sane di difendersi dalla neoplasia, secondo un protocollo che il professor Di Bella in 25 anni ha applicato su oltre 10 mila pazienti e che ancora oggi viene somministrato da molti medici seguaci della multiterapia. 

Il "caso" scoppiò proprio sei anni fa, nel luglio del 1997. La terapia del fisiologo venne fatta conoscere e sostenuta pubblicamente dalle manifestazioni dei pazienti: chiedevano la somministrazione gratuita delle sostanze che facevano parte della multiterapia. Pochi mesi dopo il pretore di Maglie, Carlo Madaro, ordinò alle autorità sanitarie di fornire la cura gratuitamente e l'allora ministro della Sanità Rosy Bindi chiese al professore di mettere a disposizione le cartelle cliniche dei pazienti. Nel 1998 vennero fissati i protocolli per la sperimentazione che si concluse dopo circa 4 mesi con la bocciatura ufficiale del metodo Di Bella, definito inefficace dall'Istituto superiore della Sanità. Una sperimentazione che divise il mondo scientifico, che interessò la magistratura e fu
contestato dallo stesso Di Bella, per come il protocollo era stato applicato. 

Il professor Di Bella viveva da anni appartato, quasi da asceta, senza la radio e la TV, nutrendosi in modo frugale, estraneo alle "tentazioni" comuni, con un solo amore: la scienza. Aveva due figli, Adolfo, bancario, e Giuseppe, medico otorinolaringoiatra, che in questi anni ha seguito da vicino il lavoro del padre. A lui domandiamo un ricordo del genitore e quale sarà il futuro della terapia Di Bella.

Dottore, che uomo era suo padre? 
«Era una persona tenace e coraggiosa che nella vita non ha mai sprecato un minuto. Era un medico che si occupava a tempo pieno dei suoi malati, anche umanamente. Tanto che ancora pochissimi giorni prima di morire ci aveva chiesto di portargli il microscopio, perché doveva continuare le sue ricerche». 

Che rapporto vi legava da padre a figlio? 
«Papà era un uomo austero, non facile alle confidenze. Un padre impegnativo. Era da prendere così, in tutte le sue sfaccettature. Ci ha lasciato un patrimonio inestimabile di conoscenze e soprattutto un esempio ineguagliabile». 

Lei in tutti questi anni ha sempre seguito suo padre, ne ha condiviso le battaglie, raccogliendone quasi il testimone. Che compiti le ha lasciato in eredità? 
«Da lui ho ricevuto due incarichi: accertare che la sperimentazione effettuata alcuni anni fa non venne effettuata secondo criteri scientifici e verificarne le anomalie, almeno 11, che si sono tradotte in oltre 50 interrogazioni parlamentari». 

A che punto è questa verifica? 
«Arriverà a compimento proprio in queste settimane alla Commissione Sanità». 

Che cosa accadde di non corretto, secondo voi, durante la sperimentazione? 
«Ricordo due punti soltanto: a 1048 pazienti vennero somministrati farmaci scaduti e il composto di retinoidi conteneva acetone, non previsto, anzi escluso, dalla terapia Di Bella». 

Quale era lo stato d'animo di suo padre dopo la delusione della sperimentazione andata a finire così negativamente? 
«Papà ha avuto tanti nemici e ha sofferto molto per il modo in cui lo hanno ostacolato. 
Ma non era un uomo che provava rancori e persino nei suoi ultimi giorni di vita mi diceva di essere grato a chi lo aveva attaccato, perché lo avevano costretto a dare il massimo di se stesso per arrivare a perfezionare la sua cura. Insomma, aveva perdonato i suoi detrattori e se n'è andato in pace con se stesso». 

Negli ultimi tempi, spenti i clamori di tutta la vicenda, come trascorreva le giornate? 
«Come sempre, nonostante gli acciacchi e l'età. Nella sua casa laboratorio di Modena riceveva ogni giorno qualche paziente e dedicava il resto del tempo a leggere, studiare, ricercare, come sempre ha fatto nella sua vita». 

Cosa accadrà, adesso, della terapia Di Bella? 
«Mio padre ha lavorato tutta la vita per trovare una cura che distruggesse il cancro consentendo ai pazienti di continuare a vivere più a lungo, o meglio, come diceva lui, di convivere con questa malattia. La missione di mio padre non morirà assieme a lui. Con mio fratello Adolfo, come figli innanzitutto, e io anche come medico, ho il dovere morale di continuare la sua opera di verità con le forze modeste di cui dispongo, anche perché io non sono certo paragonabile a mio padre. Per questo faccio appello a chi si riconosce nei suoi ideali e nei suoi valori: chiedo loro di aiutarmi affinché tutti sappiano che questa cura può essere applicata correttamente». 

Quali saranno i vostri primi passi? 
«Tra poche settimane uscirà un libro che servirà da punto di riferimento per quanti vorranno continuare la sua terapia. Si tratta di una sorta di testamento spirituale che raccoglierà non solo molti casi clinici ma anche la documentazione scientifica integrale che prova l'efficacia della sua terapia. Inoltre, raccoglieremo tutte le sue pubblicazioni per renderle accessibili al maggior numero di persone possibili, sul sito www.metododibella.it, pubblicando anche tutta la rassegna mondiale scientifica che ha dato risalto alla terapia di mio padre, confermandone l'effetto antitumorale». 

Che rapporto aveva suo padre con i pazienti?
«Aveva grande umanità e immensa comprensione, e sapeva sempre ascoltare il malato. 
E quello che gli hanno riconosciuto anche i suoi detrattori, ricordandolo il giorno in cui è morto. È quello che dimostrano le migliaia di messaggi e le telefonate dei suoi pazienti, persone alle quali in passato non erano state date speranze di vita, ma che, grazie al professor Di Bella, vivono ancora oggi». 

Suo padre aveva una sorta di quartiere generale, la sua casa che era anche studio e laboratorio di via Mariannini, alla periferia di Modena, dove riceveva 
centinaia di pazienti che arrivavano dall’Italia e dall'estero per sottoporgli gli esami clinici e avere la cura giusta: cosa ne sarà adesso del suo studio? 

«Troppo presto per dirlo. Quello che è certo è che il laboratorio di papà non chiuderà, né ora né mai». 

C'è un ricordo particolare di lui che le rimarrà per sempre impresso nel cuore? 
«Una gita a Positano, un anno fa. Una giornata particolare, indimenticabile, distante da casa, dai suoi malati, dal laboratorio. Quel giorno vidi gli occhi di mio padre fissare a lungo l'orizzonte, perdersi nel mare, fermarsi per qualche minuto, cosa inusuale per uno sempre in movimento come lui. Forse fu proprio allora che mio padre cominciò a morire». 

Roberta Pasero