Dott. Castellari Sigerio D Specialista in Oncologia Generale, Medicina del Lavoro, Radiologia e Terapia Fisica
S.Lazzaro di Savena - Bologna
30 maggio 2008


Caso clinico di Linfoma di Hodgkin 

Paziente B. B. di anni 35, in menopausa farmacologica a seguito di chemioterapia citotossica dall’ Agosto 2005.
A metà Settembre 2003, circa 10 giorni dopo un parto con “Taglio Cesareo”, compariva una febbre sui 38° resistente a terapia antipiretica e antibiotica. 21.10.2003 - Un Rx Torace evidenziava un allargamento dell’ ombra mediastinica per cui veniva ricoverata in una struttura ospedaliera ed il 31.10.2003, sottoposta a Biopsia Osteo-midollare, che evidenziava “Midollo Osseo con prevalenza della Granulopoiesi.”
03.11.2003 - Una Tomografia Computerizzata (TC) del Torace, del Collo e dell’ Addome documentava la presenza di una linfoadenomegalia a livello del Mediastino del diametro di circa 4,5 cm. e un’ altra in sede Sovraclaveare sinistra del diametro di 3 cm.
04.11.2003 - Veniva sottoposta ad intervento di “Linfoadenectomia sovraclaveare sinistra “ il cui quadro istopatologico diagnosticava un ”Linfoma di Hodgkin, varietà classica, scleronodulare con sottocomposizione citologica a cellularità mista, in fase cellulata.”
20.11.2003 - Una Tomoscintigrafia Globale Corporea (PET) dimostrava la presenza di iperfissazione patologica del tracciante metabolico al Mediastino riferibili ad agglomerati linfoadenomegalici neoplastici.
- Dal 17.11.2003 al 23.02.2004 la Paziente veniva sottoposta a 4 cicli di Polichemioterapia Neoadiuvante con Adriamicina + Bleomicina + Velbe + Deticene, a seguito della quale, oltre ai prevedibili effetti collaterali da intolleranza, dal 28.02 al 16.03.2004 la paziente doveva essere medicata per una accidentale Tromboflebite alla piega del gomito destro da stravaso farmacologico.
27.02.2004 - Una PET , confrontata con la precedente del 20.11.2003, evidenziava l’ assenza di reperti patologici.
20.07.2004 - Una PET, confrontata con l’analoga eseguita 5 mesi prima, dimostrava la “ripresa della malattia di base in sede sovradiaframmatica.
Dal 01.09.2004 al 05.09.2004 veniva ricoverata nell’ U. O. Chirurgia Toracica dell’ Ospedale “Bellaria “di Bologna e sottoposta a "mediastinovideoscopia Prevascolare con prelievo bioptico linfoghiandolare” che confermava istologicamente la “ recidiva di Linfoma di Hodgkin “. Le veniva proposto di sottoporsi ad un “ autotrapianto di Cellule Staminali “ previa preparazione con chemioterapia citotossica a scopo “antirigetto” quali la Carmustina (BCNU) + Etoposide + Aracitina + Melfalan, terapia che le veniva riferita “priva” di gravi effetti collaterali!
16.09.2004 - La Paziente, per nulla rassicurata, dopo aver raccolto, attraverso “Internet“, informazioni sui vari trattamenti per la cura della sua malattia, e per nulla confortata, si reca ad una visita medica dal Dott. Giuseppe Di Bella , e inizia il trattamento secondo un Piano Terapeutico contenente farmaci del Protocollo M.D.B. .
22.12. 2004 - Una PET , confrontata con l’analoga del 27.02.2004 “ non dimostra la presenza di aree di patologico accumulo del radiofarmaco da riferire a lesioni ad elevata attività metabolica”.
30.03.2005 – Una PET ribadisce la precedente valutazione strumentale. 26.05.2005 - il Giudice della Sezione Lavoro del Tribunale di Bologna, visto l’insuccesso della terapia tradizionale e constatata dagli atti l’ efficacia del trattamento M.D.B., ordina all’ Azienda U.S.L. di Bologna la “erogazione in via continuativa, con costi a carico del S.S.N. dei farmaci previsti nella ricetta del Dott. Giuseppe Di Bella.
06.02.2006 e 3.05.2006 - controlli sanitari di routine accertano che le “condizioni generali” sono sorprendentemente ottime, con un “Performance Status” = 100, indicante il massimo dell’ efficienza, tale da permetterle di condurre una normale vita lavorativa e accudire la Famiglia e i suoi due piccoli figli. 06.09.2006 - una TC Collo – Torace non evidenzia significativi incrementi dimensionali dei linfonodi, né la presenza di processi espansivi di altra natura.
A tuttoggi , 30.5.2008, la paziente non presenta riprese della malattia.

Percorso clinico-terapeutico e risultati
La paziente, dopo aver rifiutato di sottoporsi ad altri trattamenti antineoplastici proposti nel Centro di Emato – Oncologia Ospedaliera, si rivolge ad un Medico che le prescriveva il protocollo terapeutico M.D.B. che comporta l’ uso sinergico di diverse molecole che agiscono attraverso un meccanismo d’ azione recettoriale differenziante, citostatico, apoptotico, antiprolifrativo, antiangiogenetico e potenziante l’ attività immunitaria.
L’ uso della Ciclofosfamide ad una minima dose giornaliera di 50 o 100 mg , assunta contemporaneamente ad altri componenti del M.D.B. come la Melatonina, la Vitamina E, i Retinoidi, la Vitamina C e D3, per la loro azione mieloprotettiva, antidegenerativa e trofica sui parenchimi e tessuti, non ha causato alcuna tossicità midollare, epato-renale, cardio-circolatoria o neurologica, né depressione del sistema immunitario.
La paziente, la quale sta praticando ancora la terapia M.D.B. a dosi ridotte, non presenta clinicamente segni di malattia e il suo attuale stato di benessere le permette di continuare le sue occupazioni domestiche ed accudire ai due piccoli figli e contemporaneamente continuare a lavorare come dipendente.
Come riportato dalla letteratura scientifica, la moderna terapia del Linfoma di Hodgkin al III° Stadio, eseguita nei Centri di Onco-Ematologia mediante lo schema Chemioterapico ABVD, consente di ottenere successi a lungo termine in una elevata percentuale di pazienti.
Purtroppo, con il passare degli anni, in pazienti curati e guariti dal morbo di Hodgkin, aumentano le segnalazioni di gravi malattie provocate dalla Chemioterapia come le Mielodisplasie, le Leucemie Mieloidi Acute secondarie, e i tumori solidi.
Recentemente, uno studio internazionale retrospettivo, condotto su oltre 32.000 pazienti con Linfoma di Hodgkin, ha dimostrato che i lungosopravviventi hanno un rischio doppio, rispetto alla popolazione normale, di sviluppare una seconda neoplasia nel corso degli anni. Anche i numerosi effetti collaterali della Chemioterapia, nell’ Hodgkin, rappresentano un notevole problema che nei Centri di Onco-Ematologia Ospedaliera cercano di risolverli con l’ utilizzo più razionale dei farmaci citotossici o la somministrazione di dosi inferiori.
Prima di esprimere una valutazione sulla congruità della terapia che sta effettuando la paziente, occorre dare a grandi linee alcune informazioni sulla malattia in atto.
Il Linfoma di Hodgkin (LH) è un cancro che origina nella maggioranza dei casi in un Linfonodo e si propaga successivamente attraverso la rete linfatica a tutto l’organismo.
Talvolta il LH insorge in pazienti spesso con un sistema immunitario debilitato per varie cause (malattie infettive, “stress” psichici intensi o prolungati, stati depressivi, ecc.) nel contesto di un processo infiammatorio cronico sostenuto da infezioni virali o batteriche oppure da una patologia autoimmune.
La prognosi più infausta è legata a molteplici fattori tra i quali lo stato avanzato della malattia ( III e IV Stadio ), una grave linfopenia (<600/mmc), la diffusione extranodale specialmente splenica.
Nel corso di una Conferenza tenuta dall’Associazione Italiana Contro le Leucemie e i Linfomi tenuta il 21 06.2006 all’Istituto di Ematologia del Policlinico “ S. Orsola “ di Bologna è stato trattato il problema terapeutico dei Linfomi Maligni.
Il Presidente dell’Associazione, Prof. S. Tura, e il Direttore dell’Istituto, Prof. M. Baccarani, parlando dei Linfomi Maligni, hanno affermato che, quando dopo una chemioterapia il paziente sta bene e non mostra segni di malattia, non si può parlare di guarigione.
Dopo un periodo di tempo più o meno lungo il tumore riprende a crescere, questa volta inesorabilmente. La ragione di questo comportamento, non dissimile da quanto avviene per altri tipi di tumori, sta nel fatto che dopo la cura non tutte le cellule tumorali sono state distrutte, ma ne restano nell’organismo, probabilmente localizzate in territori ipovascolarizzati e come in uno stato di ibernazione non proliferante (malattia residua) e pertanto non più responsive alla somministrazione dei chemioterapici.
La sopravvivenza a 5 anni, nei pazienti in stadi iniziali della malattia sottoposti a chemioterapia convenzionale e responsivi al trattamento, può raggiungere l’ 80 % ; tale tasso si riduce drasticamente dopo recidive per la insorgenza di resistenze farmacologiche che costringono a ricorrere a protocolli con farmaci a più alta tossicità cellulare o all’ autotrapianto di “Cellule Staminali” che richiedono una preparazione antirigetto con altri chemioterapici, non privi di effetti da mielotossicosi o extramidollari. Sono in corso presso importanti centri di ricerca esperimenti terapeutici con i cosiddetti “farmaci intelligenti”, i “farmaci monoclonali”, da utilizzare in protocolli razionali più mirati.
E’ auspicabile si modifichi il concetto molto pragmatico dell’ uso di rigidi protocolli polichemioterapici, uguali per tutti, e si vada verso una terapia ritagliata sul malato (c.d. “tailored therapy”) sicuramente più efficace nel controllo della patologia neoplastica e caratterizzata da minore o nulla tossicità biologica.
Ciò non è soltanto gratificante sotto il profilo etico, ma anche socialmente rilevante, quando si consideri il numero di persone restituite alla collettività e il numero di ore di lavoro non perdute per malattia o per gli effetti tossici delle chemioterapie convenzionali. Nel nostro caso però è ancora prematuro parlare di guarigione definitiva, cioè in senso anatomopatologico. Anche se in corso di terapia si realizzano ottime condizioni di salute dal punto di vista soggettivo, non si può escludere la possibilità che la malattia possa subire temporanee ricadute.
Anche un breve periodo di modesta instabilità immunitaria nella nostra paziente, soggetto predisposto anamnesticamente a facili infezioni virali delle vie respiratorie, può essere responsabile di un temporaneo cedimento delle difese organiche con ricomparsa delle linfoadenopatie. Stando agli attuali concetti di valutazione dei risultati terapeutici, almeno per quanto riguarda le lesioni tumorale, anche se non completamente eradicabili chirurgicamente, viene considerato un notevole risultato prolungare la sopravvivenza del malato mantenendolo nelle condizioni migliori in modo di poter convivere col suo male senza apprezzabili limitazioni psicofisiche inabilitanti.
Lo stato di “quiescenza non letifera” della malattia non ci autorizza pertanto a rallentare la guardia o sospendere definitivamente le cure in corso di cui risulta evidente, oltre ogni dubbio, la sorprendente efficacia. Pertanto, essendo moralmente doveroso e scientificamente corretto ricorrere a terapie con favorevole profilo tossicologico e provata potenzialità antitumorale, emerge evidente la necessità che la signora B. B. continui a curarsi col Metodo Di Bella, i cui componenti farmacologici trovano, in letteratura, ampio riscontro delle loro proprietà antitumorali, senza provocare spesso invalidanti effetti collaterali.

Sigerio Castellari