Una rivista scientifica americana ha pubblicato uno studio clinico sulla Multiterapia Di Bella. Il mese scorso, nel riportare l'ennesima testimonianza di pazienti beneficati dall'associazione di farmaci messa a punto dal defunto fisiologo Luigi Di Bella, avevamo denunciato la carenza di pubblicazioni scientifiche da parte dei medici dibelliani. Manco a farlo apposta, sull'ultimo numero di "Cancer Biotherapy & Radiopharmaceuticals" è apparsa una pubblicazione firmata dai medici italiani A. Norsa e V. Martino, intitolata "Somatostatina, retinoidi, melatonina, vitamina D, bromocriptina e ciclofosfamide in pazienti affetti da tumore del polmone in fase avanzata non a piccole cellule e con basso performance status". La pubblicazione segue quella di un altro medico dibelliano, Mauro Todisco, apparsa sulla medesima rivista nel 2001 e dedicata ai Linfomi N.H., trattati con Mdb. Achille Norsa è dirigente medico della Divisione di Chirurgia toracica presso l'Ospedale Maggiore di Verona e vicepresidente della Sibor di Bologna, società scientifica che fa capo al medico Giuseppe Di Bella. Lo studio ha coinvolto 28 pazienti affetti da tumore del polmone "non a piccole cellule" (microcitoma) in fase critica avanzata, e non precedentemente trattati con altre terapie.
Il cancro polmonare rappresenta il "big killer" per eccellenza. Nel 1993 in Italia sono morte di cancro al polmone 30.905 persone, nel 2002 i morti sono stati 32.134. Secondo dati Istat, in Sicilia nel 1993 sono morti 1.781 pazienti per cancro del polmone: 1.556 uomini e 225 donne. Nel 2002 (ultimi dati disponibili Istat) i morti sono stati 2.054 (1.729 uomini e 325 donne). In Italia il numero di nuovi casi di cancro polmonare per anno si aggira intorno ai 35-40.000 abitanti, con un tasso di mortalità di 81/100.000 abitanti nei maschi e 12/100.000 nelle femmine. Per la sua scarsa guaribilità rientrò tra i nove tumori sottoposti nel 1998 alla fallita e contestata sperimentazione Di Bella. Nei cui atti ministeriali si legge: "La chirurgia non ha alcun ruolo terapeutico di provata efficacia in questa fase di malattia. La radioterapia può risultare di grande utilità nel trattamento di alcune lesioni metastatiche che possono gravemente condizionare la qualità di vita dei pazienti. La chemioterapia è in grado di indurre riduzioni di volume delle masse neoplastiche in circa il 30-40 per cento dei pazienti", ma solo una "sopravvivenza a un anno del 15 per cento per i pazienti trattati". è questa la riprova che riduzione tumorale non equivale a guarigione né a sopravvivenza.
La sperimentazione ha fatto emergere un dato (tra i tanti censurati) che conferma il ruolo negativo della chemio (pur efficace in altri tumori) denunciato da Norsa nell'intervista pubblicata a fianco. Infatti, il carcinoma polmonare "non microcitoma" è stato l'unico tumore che ha consentito un confronto tra due gruppi di pazienti sottoposti a cura Di Bella: malati pre-trattati con chemio e malati non pre-trattati. è emerso che i malati non pre-trattati, pur subendo delle progressioni di malattia nel breve periodo, hanno subìto una mortalità quasi dimezzata rispetto ai pre-trattati, come si vede nella tabella pubblicata in questa pagina. Non è stato possibile sapere per quanto tempo si sia protratta la maggior sopravvivenza dei pazienti visto che la sperimentazione era regolata da una regola singolare. Cioè questa: "S'intende per sopravvivenza di un paziente all'interno di questa sperimentazione l'intervallo di tempo che passa dalla data di reclutamento nella sperimentazione e la data di decesso, qualsiasi ne sia la causa, o la data di chiusura dello studio nel caso di pazienti vivi al momento della chiusura stessa". Considerando che parliamo del tumore più diffuso e pressochè inguaribile, una minore fretta di chiuder baracca avrebbe forse consentito di reperire preziosi elementi, che invece emergono dalle tante testimonianze, ora pubblicate anche su riviste scientifiche.
Achille Norsa, che pratica tuttora il metodo Di Bella, è stato allievo del professor Di Bella all'Università di Modena nel 1962. Riprese i contatti con l'ex docente di Fisiologia nel 1995 quando si accorse che una sua amica affetta da cancro della vescica era stata curata da un anziano medico «Che volli andare a ritrovare» e del quale diventò collaboratore fino alla sua morte. Abbiamo intervistato la signora, che conferma la propria guarigione.

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Achille Norsa: «Ho seguito i 28 pazienti per un periodo di otto anni»

In quali condizioni erano i pazienti dello studio clinico?
«Si tratta di 28 pazienti non pretrattati con altre terapie. La chemioterapia non si poteva fare in questi casi oppure non era indicata in quelle condizioni. Non avevano aspettative di guarigione e avevano tutti superato il limite di possibilità dell'intervento chirurgico, erano tutti in quarto stadio di malattia, dunque le condizioni di salute erano estremamente gravi». 
Quanto tempo è durato lo studio?
«Ho seguito questi pazienti nel giro di otto anni. Non si possono trarre conclusioni in tre mesi, come è successo con la sperimentazione ministeriale». 
Come sono i risultati?
«La mediana di sopravvivenza dei pazienti in questo tipo di tumore in quarto stadio è di solito di 3 mesi. In questo studio la mediana di sopravvivenza è quattro volte maggiore, cioè 12,9 mesi, con un range che varia da un mese e mezzo fino a 33 mesi e mezzo».
Quasi tre anni in questo tipo di tumore è una notizia anche per la medicina?
«Lo è ma non bisogna esagerare, alcuni sono arrivati a un mese». 
Entriamo nel dettaglio.
«Le percentuali di sopravvivenza a 1 e 2 anni sono rispettivamente del 51,2 per cento e del 21,1 per cento. Insomma, persone che dovevano morire entro tre mesi sono sopravvissuti e bene per un anno E ho in corso uno studio su pazienti pretrattati con chemio».
Lei è uno stimato chirurgo toracico di un importante ospedale pubblico. Cosa ha visto di positivo in questi pazienti che non ha visto in quelli che seguono le cure correnti? 
«Rispetto a quelli che fanno la chemioterapia hanno avuto una maggiore sopravvivenza e una migliore qualità di vita. Che significa miglioramento a livello respiratorio, diminuzione dell'insonnia, dell'astenia e del dolore, diminuzione della tosse e della dispnea. Non è poco per questi pazienti, basterebbe questo». 
Non c'è stata però nessuna riduzione di tumore, come nella sperimentazione.
«C'è stata la riduzione della componente flogistica ma in questi casi è difficile la diminuzione della massa. In alcuni casi però c'è stato un arresto della crescita tumorale». 
I pazienti sono stati seguiti e valutati secondo i crismi dettati dalla comunità scientifica?
«Per poter confrontare l'evoluzione clinica di questi malati era importante valutarli con gli stessi criteri dell'oncologia. Tant'è vero che il lavoro è stato accettato da una rivista importante. Questi malati sono venuti da me perché mi conòscono o dopo che sono approdati nella Divisione di Chirurgia toracica. Li ho curati col metodo Di Bella al di fuori della Divisione ma li ho seguiti applicando gli stessi criteri di controllo previsti dai protocolli richiesti. Vengono da tutte le parti d'Italia, sono tutti schedati con cartella clinica, che contiene l'evoluzione radiologica della malattia secondo i criteri classici. Stessi criteri di valutazione, diverso il metodi cura, che è quello biologico messo a punto dal professor Di Bella». 
Mettiamo da parte per una volta i facili proclami. Qual è la reale prospettiva per una persona che si ammalerà di cancro polmonare nel 2006?
«Mi occupo di Chirurgia toracica da 40 anni. Non ci sono dei protocolli validi nel campo oncologico nel tumore del polmone. I microcitomi risentono a volte delle cure correnti, ma dopo un breve periodo si riformano e in forma più disseminata. L'oncologia è disarmata di fronte a questo tipo di tumore. Grandi passi avanti non ci sono stati negli ultimi vent'anni. Anzi aggiungo che con la chemioterapia non solo non si è aumentata la sopravvivenza, ma si è peggiorata la qualità della vita dei pazienti. Sarebbe meglio non trattarli perché la sopravvivenza è la medesima e la qualità di vita è migliore». 
Ma i pazienti questo non lo sanno.
«Ai pazienti questo in genere non viene detto. Non vengono informati degli effetti della chemio e sperano di stare meglio. Solo dopo i primi cicli di chemio si guardano intorno». 
I pazienti che testimoniano benefici dalla cura Di Bella e anche guarigioni si moltiplicano. Come mai questo contrasto con la verità ufficiale? 
«La cura Di Bella non è stata approfondita e dunque molti medici non sanno bene come funzioni e la sottovalutano perché pensano che sia qualcosa di molto superficiale. Ma ora gli oncologi stanno scoprendo alcuni farmaci antitumorali come la vitamina D, i proteoglicani e l'acido retinoico. Solo che Di Bella li usava già nel 1978».
Chi ha pagato i farmaci di questo studio clinico?
«I pazienti di tasca propria. Molti altri sono costretti ad abbandonare le cure per motivi economici, pur stando meglio. E la malattia riparte. è una cosa tremenda sospendere la malattia speci di soldi. La maggior parte dei malati ha 65 anni, è meno difeso dal punto di vista economico. Molti sospendono e vanno a fare la chemio».
Il rimprovero, legittimo, che viene rivolto ai medici dibelliani, è di non pubblicare i propri risultati.
«Sono spesso medici di base e non hanno i mezzi e non hanno la possibilità di tenere le cartelle, di redigere le curve, magari non c'è il tempo. Forse sono l'unico inserito in una clinica e dunque sono avvantaggiato».