BARI - Riparte ancora una volta dalla Puglia la carica giudiziaria a sostegno della "cura Di Bella". Oggi come nel 1997, quando la detonazione arrivò con una sentenza del pretore di Maglie, Carlo Madaro. Il tribunale di Trani, uno dei fori più antichi del Tacco d’Italia, ha imposto con una ordinanza a una Asl barese di «fornire grauitamente e a tempo indeterminato» il cocktail studiato dal fisiologo modenese Luigi Di Bella per la cura dei tumori. La particolarità del provvedimento sta nel fatto che il paziente, un biscegliese di 68 anni affetto da un grave tumore all’intestino, non l'ha neppure mai cominciata, la cura. Ma il tribunale di Trani ha stabilito sostanzialmente che basta la prescrizione di un medico.
Richiamando la legge 48 del 1998, infatti, il magistrato ha scritto che «il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione e consenso del paziente, impiegare un medicinale» anche per una indicazione «diversa da quella autorizzata». A nulla è valso obiettare, da parte dei legali della Asl, che il paziente «non ha fornito alcune prova dell’indispensabilità delle cure farmacologiche richieste» e non ha dimostrato «la sicura affidabilità dei metodo Di Bella». Secondo il giudice, una terapia è da considerarsi valida non solo quando scongiuri il pericolo di morte del paziente ma anche nel caso in cui «consenta di vivere la malattia in una condizione meno gravosa e più dignitosa».
Peraltro, neppure «l’esito negativo della sperimentazione» avviata nel 1998 dal ministro Rosy Bindi rileva alcunché: quell’esito «sembra basarsi», si legge nel dispositivo, «su valutazioni di carattere statistico che non escludono singole reazioni positive all’utilizzaLione» del cocktail per curare i tumori.
A marzo scorso, all’anziano era stata consegnata una diagnosi lunga tre righe, con una chiusa nefasta: «La natura e la diffusione della patologia non consentono la possibilità di trattamenti chirurgici o terapie chemioterapiche tradizionali o radianti». Buio pesto, insomma. A meno che. «Ai fini di una aspettativa di vita più lunga e dignitosa, l’unica via praticabile», avevano scritto i clinici, «consiste nell’adozione della cura Di Bella». Spiraglio di luce, sia pure fioca. E puntando a quello spiraglio, l’uomo non si è lasciato sopraffare dalle scarne disponibilità economiche della sua pensione. Anziché andare in farmacia, dove gli avrebbero sparato prezzi a tre zeri solo per cominciare, è andato dall’avvocato. E ora la mano al portafogli dovrà metterla la Asl.
L’ordinanza peraltro arriva all’indomani di una inchiesta condotta dallo stesso tribunale, ma in sede penale, che ha portato due mesi fa all'arresto di sette persone, medici, farmacisti e avvocati a vario titolo coinvolti in una presunta truffa per un milione di euro ai danni di un'altra Asl: due medici prescrivevano i farmaci antitumorali del cocktail dopo aver diagnosticato patologie inesistenti. Questo, evidentemente, non ha condizionato il giudice civile, com'è giusto d'altronde.
Intanto, sono attese per i prossimi giorni, sul tavolo del gruppo di esperti del Consiglio superiore di sanità, nominato dall'ex ministro della salute Girolamo Sirchia e confermato dal suo successore Francesco Storace, le schede relative agli oltre 200 pazienti che il figlio dell'inventore della terapia dice siano guariti grazie al protocollo "contestato". Il Css «ha già impostato il lavoro per una nuova verifica sull'efficacia della cura Di Bella», fa sapere il presidente Mario Condorelli.