Un'altra pesante accusa contro l'industria del tabacco: almeno fino al 2001 avrebbe cercato di gettare discredito su ricerche che mettevano in relazione il legame tra fumo e tumori polmonari, assoldando ricercatori e consulenti. Lo sostiene nella sua edizione online la rivista scientifica britannica Lancet. Uno studio del 1996 dimostrava come alcune sostanze chimiche presenti nel fumo provocassero alterazioni del gene P53 responsabili di una proliferazione anarchica delle cellule, e presenti in oltre metà dei tumori e nel 60% delle neoplasie polmonari. L'indagine era stata condotta da ricercatori dell'università della California a San Francisco (Ucsf) ed è uno degli autori, Stanton Glantz, ad accusare le aziende di essere passate al contrattacco, finanziando ricerche per smentirla. «L'industria del tabacco - commenta Glanzt, che dirige il Centro per la ricerca e il controllo sul tabacco all' Ucsf - dichiara di voler lavorare con la comunità medica perché l'informazione sul ruolo giocato dalle sigarette nelle malattie dei fumatori sia chiara e univoca. Ma il suo atteggiamento denigratorio nei confronti delle ricerche sul P53 è durato almeno fino al 2001». Nel rapporto pubblicato da Lancet, Glantz e i suoi colleghi hanno esaminato 43 documenti riservati dell'industria del tabacco, trovando le prove di ricerche portate avanti dopo il '96 per negare il vincolo tra fumo e tumori. «In due casi gli studi che smentivano questo legame furono avallati e diffusi da esperti legati alle multinazionali del tabacco». La Tobacco Manifacturers Association non ha voluto commentare il rapporto, mentre la comunità scientifica ha reagito esortando a tenere alta la guardia. «L'impiego di consulenti che commentano criticamente le ricerche, senza dichiarare la loro associazione all'industria del tabacco - sostiene Peter Boyle, direttore del Centro internazionale di ricerche sul cancro (Circ), emanazione dell'Oms - sembra restare uno degli approcci strategici più usati dall'industria del tabacco». La Philip Morris era già stata accusata di aver corrotto alcuni scienziati, perché minimizzassero i rischi del fumo passivo, e persino un redattore di Lancet perché pubblicasse articoli «tolleranti» o fuorvianti, che cioè ipotizzassero per le malattie polmonari fattori di rischio diversi dal fumo, come l'inquinamento atmosferico o quello domestico. L'operazione, in codice «Progetto camice bianco», era descritta in un memorandum del 1990, diffuso nel 1998 via Internet da un membro del Congresso degli Stati Uniti. Non si stupisce della denuncia di Lancet il ministro della Salute Girolamo Sirchia: «Conferma una cosa notissima. Ormai sappiamo che la politica delle multinazionali mirava a nascondere la nocività del fumo e ad aggiungere nelle sigarette sostanze che provocano dipendenza».