ROMA. Il nuovo caso Di Bella continua a tenere banco: dietro la retromarcia del ministero della Salute sul divieto di vendere la somatostatina in farmacia c’è Gianfranco Fini in persona. Il vicepremier, infatti, nei giorni scorsi è intervenuto di persona con una lettera scritta a Girolamo Sirchia, chiedendo il ritiro del provvedimento adottato dal ministero con il quale si modificava il regime di fornitura del medicinale base della cura Di Bella, autorizzandone la somministrazione solo in ospedali, cliniche e case di cura. La decisione - si tratta dell’autorizzazione all’immissione in commercio n. 755 - attendeva il parere dell’Agenzia italiana del farmaco per poter essere resa operativa. Una circostanza che avrebbe determinato di fatto la fine della cura messa a punto dal defunto fisiologo modenese, Luigi Di Bella, e oggi caparbiamente portata avanti dal figlio, il professor Giuseppe. È noto, infatti, che la stragrande maggioranza degli oncologi ospedalieri sono contrari alla multiterapia, quindi difficilmente l’avrebbero prescritta ai pazienti. Il rischio del blocco della cura aveva provocato non poco allarme tra le associazioni dibeiliane che avevano minacciato proteste di piazza più dure di quelle del 1997-98, quando il caso esplose fragorosamente e divise l’italia.
Dopo giorni di pressing su Sirchia da parte di An e una nota trasmessa a Fini dal capogruppo del partito all’Europarlamento, Cristiana Muscardini - in cui si chiedeva l’autorevole intervento del leader della destra «prima che la gente torni in piazza» - nel question time di mercoledì scorso alla Camera Sirchia è stato costretto a fare marcia indietro. A rispondere all’interrogazione firmata dall’intero gruppo di An a Montecitorio è stato Carlo Giovanardi. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, a nome del Governo, ha affermato che «nessun provvedimento che modifichi il regime di fornitura della somatostatina è stato emanato dal ministero della Salute, né è previsto da parte dall’agenzia del farmaco». Un escamotage dialettico, visto che il provvedimento c’era e rischiava di essere emanato.
Tuttavia, scampato il pericolo di un blocco della cura, il caso Di Bella appare tutt’altro che archiviato. Il nuovo capitolo che sta per aprirsi è quello della revisione di tutta la casistica trattata positivamente con il metodo Di Bella. Una commissione di esperti con questo compito è già stata approvata dal ministero della Salute, e si attende solo che entri nella fase operativa. Nel frattempo il professor Giuseppe Di Bella, attraverso la società italiana di Bioterapia oncologica razionale - Metodo Di Bella e il sito www.metododibella.org sta raccogliendo le schede informative relative ai casi trattati da inviare al ministero, ma rivendica con forza di partecipare al confronto scientifico in seno alla commissione stessa. L'obiettivo ultimo, ovviamente, è di giungere ad una nuova sperimentazione che possa rivedere il giudizio negativo decretato tra mille polemiche nel 1998. «La sperimentazione della Bindi non fu fatta con i caratteri del protocollo Di Bella», ricorda la Muscardini. Ma è soprattutto «la nuova letteratura scientifica mondiale, che negli ultimi anni ha provato le proprietà antitumorali degli elementi della cura Di Bella, ad imporre una nuova sperimentazione».