ROMA. «Siamo pronti a scendere in piazza ed attuare forme di protesta più clamorose di quelle del '98. Se ci tolgono la somatostatina ci condannano a morte». Le associazioni dibelliane sono in rivolta. I pazienti (10-15mila secondo le ultime stime) che seguono la terapia antitumorale messa a punto dal fisiologo modenese Luigi Di Bella - di cui il figlio, il professor Giuseppe ha raccolto il testimone - sono in rivolta. La goccia che ha fatto traboccare il vaso di una situazione per loro già difficile, è stata la decisione del ministero della Salute di adottare il provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio n.755, emanato lo scorso 26 luglio, che stabilisce una modifica del regime di fornitura della somatostatina.
Tradotto in soldoni, l’elemento indispensabile del cocktail di sostanze che formano il "Metodo Di Bella" da medicinale «soggetto a prescrizione medica», diventa «medicinale utilizzabile esclusivamente in ambiente ospedaliero e in cliniche e in case dicura». Il rischio è che nelle strutture pubbliche la maggioranza degli oncologi "tradizionalisti" si guardino bene dal far seguire la terapia contro cui si scagliarono alla fine degli anni '90. In pratica, se il provvedimento andasse in vigore (nelle prossime settimane dovrebbe occuparsene il Parlamento), «vorrebbe dire che dovremmo morire», taglia corto Orlanda Iacovacci, presidente dell'"Associazione pro malati neoplastici Di Bella" di Mentana. «Avevo sentito parlare di questa possibilità, ma se diverrà reale siamo pronti a protestate come e pìù del '98», aggiunge la Iacovacci che sa bene di cosa parla per aver sofferto il cancro in prima persona: «Ho fatto tre mesi di chemioterapia, mi avevano dato tre mesi di vita. Poi sono andata dal professor Di Bella: sono passati sette anni e sono ancora qui. Sono guarita e ora faccio semplicemente una terapia di mantenimento». Se il provvedimento divenisse operativo «saremmo pronti a salire sul Colosseo nudi, a bloccare le strade con i cortei, a fare qualsiasi cosa per garantire la libertà di cura e il diritto alla vita».
«Già dobbiamo pagarci la somatostatina, adesso non vorrebbero darcela nemmeno pagandola?», si chiede Eliana Dell’Olivo, presidente dell’Aian (Associazione italiana ammalati neoplastici) del Veneto, che lancia un appello: «Spero proprio che i partiti della maggioranza facciano qualcosa per impedire questa limitazione alla libertà di cura». In realtà una scappatoia ci sarebbe: comprare la somatostatina all’estero, in alcune farmacie della Germania (in particolare a Monaco) e dell’inghilterra, dove già oggi una parte dei pazienti la acquista. Ma c’è un problema: «Alcune Regioni - spiega Alda Paoletti Dal Piaz, portavoce del "Comitato per la difesa della libertà di cura" di Arezzo - danno un contributo con il quale si riesce a coprire buona parte della terapia. Ma per poterne usufruire, la somatostatina deve essere acquistata in Italia». Se comprata all’estero, quindi, il medicinale va pagato per intero. Una fiala di soinatostatina costa circa 20 euro, e per chi la assume tutti i giorni la spesa mensile è considerevole. La Dal Piaz poi si chiede: «Se la medicina viene prescritta da un medico e non da uno stregone, perché mai dovrebbe esserne vietata la vendita?».
Di rivolgersi all’ospedale manco a parlarne, anche perché i pazienti reagiscono in maniera diversa a seconda della casa farmaceutica che produce il medicinale, e chi è in cura sospetta che in ospedale non siano disponibili tutti i tipi di somatostatina in commercio. Inoltre le confezioni in vendita in Italia «non sono da 3mg, perché il peso comprende l’eccipiente - conclude la Dal Piaz -. Quindi il paziente rischia di assumere solo 2,60-2,70mg di somatostatina invece dei 3mg necessari».