Innumerevoli studi dopo le polemiche.

La somatostatina dopo Luigi Di Bella: un’esplosione di studi, con conferme, aggiustamenti e nuove direzioni di ricerca. È un piccolo ormone prodotto da diverse cellule: dai neuroni dei nuclei ipotalamici che controllano l’asse della crescita, dalle cellule D del pancreas, dello stomaco e del duodeno, dalle cellule immunitarie.
L’ormone è passato alla ribalta della cronaca con la terapia Di Bella. Nel 1997/98, quando esplose il caso, nonostante molti oncologici caddero dalle nuvole, la somatostatina aveva già evidenze diverse da quelle accertate (sanguinamento gastrico ed esofageo). La sostanza e i suoi analoghi di sintesi, come l’octreotide, infatti, venivano usati, con buoni risultati, in numerosi tumori dell’ipofisi, del pancreas endocrino e in altri tumori gastrointestinali cosiddetti neuroendocrini.
In anni più recenti, sono stati identificati recettori per la somatostatina in numerosi tumori solidi non endocrini riguardanti il cervello, la tiroide, la mammella, il polmone, la prostata, il tessuto linfatico. Anzi, a partire proprio da quegli anni, alcuni reparti, tra cui la Divisione di medicina nucleare dell’Istituto europeo di oncologia diretto da Veronesi, utilizzarono la larga diffusione, nei tumori, del recettore per la somatostatina, per realizzare scintigrafie accurate, capaci di scovare anche minuscole metastasi, purché esprimenti il recettore per la somatostatina. Da questo impegno diagnostico è poi nato un utilizzo terapeutico, oggi giudicato molto promettente, che consiste nell’accoppiare l’octreotide con un radionuclide, che viene quindi guidato dall’analogo della somatostatina all’interno della cellula tumorale, dove libera radioattività.
Ma non finisce qui. Nel marzo scorso, un gruppo della Facoltà di Medicina di Graz, in Austria, ha documentato una diffusa presenza del recettore per la somatostatina nei melanomi dell’occhio (uveali), trovando una relazione tra maggiore presenza del recettore di tipo 2 e una prognosi migliore. Radiooncologi dell’Università di Tessalonica, in Grecia, hanno trattato con octreotide un gruppo di malati terminali di cancro con diffuse metastasi al fegato. Con uno studio pubblicato su Palliative Medicine dell’aprile scorso dimostrano che 14 dei 16 pazienti erano vivi dopo sette mesi, le metastasi stabili e che, soprattutto, era nettamente migliorata la loro qualità di vita.