dalla rivista Incontri – Periodico Trimestrale
Anno XXIX, Numero 76, Aprile-Giugno 2003
Con scienza e coscienza
del Prof. Luigi Di Bella
Ovvero alcune riflessioni in tema di etica medica.

 
In esclusiva a "Incontri".
Il primo luglio scorso si è spento a Modena il professor Luigi Di Bella, fisiologo, scienziato, studioso, la cui fama alcuni anni or sono varcò i confini nazionali, per i risultati da lui ottenuti nella lotta contro il cancro. A far discutere le platee scientifiche, e non solo esse, fu la proposta di una terapia biologica, da lui messa a punto dopo anni di ricerche, meglio conosciuta come "Metodo MDB". Non desideriamo entrare di nuovo nel vivo delle polemiche nate prima e dopo una sperimentazione sulla cui validità e sulla cui correttezza sono state manifestate da più parti non poche perplessità. Vogliamo, piuttosto, riportare l'attenzione sull'eredità, sull'importante e indiscutibile eredità, oltre a quella scientifica (i suoi studi condotti sui retinoidi, sulla melatonina e sulla somatostatina stanno polarizzando l'attenzione di molti ricercatori), che il professor Di Bella ci ha lasciato.
Sta nella sua figura di medico di grandissima onestà professionale, di indiscutibile pulizia morale, di rara umanità. Sta nel modo con il quale ha sempre trattato i propri pazienti, consigliandoli, rispettando le loro paure, le loro ansie. Sta nella sua capacità di ascoltarli, nel modo con il quale ha interpretato la professione intesa come servizio disinteressato al paziente. Sta, infine, nella soddisfazione di non aver mai preteso nulla da alcuno e di aver sempre agito con "scienza e coscienza". Per meglio documentare le sue convinzioni in tema di etica professionale, riportiamo di seguito, seppur in sintesi, un suo scritto, concesso in esclusiva a "Incontri", risalente all'ormai lontano 1985. In esso il professore spiega quello che, a suo parere, dovrebbe essere il comportamento di chi esercita la professione medica.


L'etica professionale.
I principi etici nella medicina e nelle attività collegate con la sanità investono medici e operatori sanitari, pazienti e sociologi, legislatori e politici. Non si tratta più di un unico reciproco rapporto fra medico e paziente, come ai tempi d'Ippocrate, perché le scienze mediche polarizzano oggi l'interesse di tutti, sia perché spiegano fenomeni altrimenti misteriosi della nostra vita, sia perché affondano le proprie radici in quasi tutte le rimanenti discipline biologiche. Lo scibile medico ha espanso i suoi orizzonti nell'immenso infinito delle scienze, e i mezzi di diffusione spronano le curiosità e stimolano il desiderio del sapere. La scienza medica non s'identifica con la medicina, per le inevitabili carenze analitiche e sintetiche, diagnostiche e prognostiche, terapeutiche ed esecutive di quest'ultima. Il medico pratico è, in genere, un eletto professionista, ma non può identificarsi con uno scienziato, per il formidabile complesso di nozioni delle scienze mediche, per la elementare mancanza di tempo, per la stessa mentalità generalmente lontana da quella del ricercatore. L'opera del medico non è confinata alle cliniche ed ospedali, ambulatori e consultori. Con l'affinarsi dell'esattezza della prognosi e con l'allargarsi dell'efficacia della profilassi, il medico entra ormai di necessità in ogni campo della società, nelle famiglie, negli asili e nelle scuole, nel lavoro e nello sport, nell'estetica e nell'arte. Non c'è branca dell'attività umana che non possa ormai prescindere dall'opera del medico, per l'una o per l'altra ragione.

L'attività medica corrente si svolge entro limiti i cui pilastri sono sostenuti dalla morale, dalla legge e dalla religione. Nell'ambito delle attività sanitarie la morale è un problema di ogni giorno, che investe pazienti e familiari, medici e infermieri, amministratori e politici. L'etica medica è una branca dell'etica applicata, e le si è attribuito tanto rilievo che alla Columbia University, nel College of Physicians & Surgeons, è stato istituito un corso di Medical Ethics sin dal 1970. Il problema morale impone una scelta fra due o più soluzioni possibili, non per motivi tecnici. Se la conclusione è solo di ordine scientifico essa può anche contrastare con quella dettata dal sentimento. In realtà, qualunque pensiero umano s'accompagna a un sentimento, e «c'est le sentiment qui nous égare le moins». Ogni decisione medica viene vagliata come giusta o errata, buona o cattiva, preferibile o necessaria, piacevole o dolorosa, utile od aleatoria. La decisione riguarda anche il particolare paziente, la persona che deve prenderla, le condizioni per attuarla. Una morale assoluta o universale non esiste, anche se si riconosce che «se non si ammette una legge santa, inviolabile, non creata dagli uomini, verrà a mancare la norma per giudicare se un 
atto è giusto o ingiusto». (G. Mazzini, "Doveri dell'uomo"). Da un complesso di norme morali correnti ci si dovrebbe elevare ad un livello superiore di principi etici.
Alcune decisioni son prese non senza conflitti interiori, né senza contrasti con le leggi o le credenze religiose. Vi sono poi alcuni principi morali generali, tramandati dalla medicina orientale o ippocratica, o di ispirazione evangelica (primum non nocere; "ciò che a te stesso non vuoi che sia fatto, non farlo agli altri" - Confucio), che guidano e guideranno sempre l'etica medica.

Il giuramento d'Ippocrate.
Ippocrate imponeva il giuramento per Apollo, Igea e Panacea, e per tutti gli dei e le dee; prometteva devozioni ai maestri e discendenti, regolava le norme professionali; impegnava al segreto professionale, dentro e fuori il proprio ministero. Si tratta di un complesso di norme deontologiche, ormai solo in piccola parte valide nella moderna società dei consumi, della televisione, dell'energia atomica, dei computers.
Mutano le leggi, crollano le basi tradizionali della famiglia e della società, sbiadiscono i sentimenti di gratitudine, di stima, di rispetto, ecc. Anche la Medicina tende ad assumere in questo ambiente un carattere freddamente e rigorosamente scientifico, e il rapporto medico-paziente tende a raffreddarsi, a diventare formale, talvolta anche ostile. I rapporti di un medico col suo paziente sono invero unici, esponendo il paziente a alcuni fatti personali, chiedendo al medico cure, consigli, conforto; promettendo l'esecuzione del programma di cure consigliate.
Il paziente riconosce la necessità di affidare al medico i dettagli tecnici delle cure, anche se chiede di partecipare alle sue decisioni, soprattutto se di notevole portata. Il comportamento paternalistico del medico presuppone la sua superiore cultura, profonda bontà e solerte iniziativa da una parte, l'incondizionata fiducia del paziente, dall'altra.
Purtroppo il decadimento morale generale, il livellamento sociale e la diffusione d'informazioni mediche superficiali e vuote, hanno praticamente cancellato 
questo ineffabile rapporto. Il medico rimane particolarmente declassato in questa rivoluzione sociale, e sperimenta ogni giorno più a suo danno, il costo della sua umiltà, della sua fede, del suo amore per il prossimo, del suo spirito di dedizione. La cattiveria dei colleghi, ma anche quella del mondo extraprofessionale gli conferma giorno dopo giorno che "homo homini lupus, niger nigro lupior medicus medico lupissimus ". Parecchi medici hanno pagato con la vita il rifiuto di rilasciare attestati di comodo, mentre altri sono costretti ad agire contro coscienza per difendere un pane. L'insistente volgarizzazione di temi di medicina con tutti mezzi di diffusione tende a creare in vasti strati della popolazione non solo la credenza di poter alla leggera criticare e contestare l'opera del medico, ma anche, per contro, indurre una certa fiducia nell'onnipotenza della medicina. 
Per quest'ultima opinione, nonché per il crescente difetto di volontà nella società del benessere e della vita facile, ed infine per il rifiuto di accettare rinunce e sacrifici, si accentua la tendenza a far cavare dal medico tutte le castagne dal fuoco: si pretende così di far diventare studioso lo scolaro svogliato, corretto il cittadino perverso, attraente la donna sgraziata, magro l'obeso costituzionale, forte il debole, geniale l'idiota, volenteroso il bighellone, astemio l'etilista, astinente il fumatore ecc. Forse neppure l'uno per cento dell'attività del medico d'oggi coincide con quella del glorioso medico condotto dell'epoca umbertina. La professione si svolge così in condizioni talmente critiche e perverse da dover invocare di primo mattino: "ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo". Non è bassa la percentuale di casi nei quali al medico è richiesto di prescrivere della specialità, senza visitare l'ammalato, o solo chiedendo scarni ragguagli al paziente od al parente. La gente divide perciò i medici nelle due classi: i medici che scrivono e quelli che visitano. Di questo degrado professionale sono profondamente responsabili lo scarso studio e lo smarrimento morale. Col pretesto di debellare un inesistente classismo, di abolire un
inutile quanto intollerabile nozionismo, di svecchiare antiquati programmi e adeguarli ai tempi, si è avvilita la scuola e si sono aperte le università a folle d' ignoranti, d'ineducati, di arrivisti. Questa marea ha scosso radicalmente università già gravemente minate da morbi incurabili. Il medico futuro, pur entusiasta degli studi intrapresi e disposto a rinunce e sacrifici, vaga smarrito fra le pullulanti cattedre, disorientato fra evanescenti docenti, avvilito, sfiduciato e scettico, o col cervello stoltamente imbottito. Pochi, o nessuno, gli ha insegnato gli elementi di semeiotica e di pratica medica, per cui ha dovuto arrangiarsi in 
un campo in cui l'autodidattismo non vale. A contatto con l'ammalato trascura, perché non gliene hanno suggerito l'importanza e perché non ha digerito le patologie speciali, i dati anamnestici; e non esegue un esame obiettivo neanche elementare perché nessuno si è preso mai cura d'insegnarglielo. Allora passa al sintomo: la febbre, il dolore, la tosse, ecc. Ha imparato che esiste una certa corrispondenza fra il sintomo ed un farmaco, e lo prescrive ordinariamente in quelle condizioni, senza approfondire i dati clinici e farmacocinetici. Se poi il sintomo persiste, immutato o quasi, allora smista il paziente 
all'ospedale, allo specialista, al radiologo, all'analista. Nell'ambiente in cui lavora può sembrare inutile, vano o sciocco stillarsi il cervello per raggiungere il supremo, divino obiettivo del medico: la diagnosi.
Soffrire con e per il paziente, aiutarlo e confortarlo è giudicato in genere anacronistico oggi; né la stima o la riconoscenza del prossimo si manifesteranno, né le controllatissime entrate o la sua posizione gerarchica e sociale muteranno in suo favore. Se abbonda nelle prescrizioni può ricevere un richiamo, se difetta può perdere il cliente. In queste condizioni il medico svolge il suo lavoro distaccato, vigile e attento solo a sapersi destreggiare, a non incorrere in critiche o richiami.
L'interesse per l'ammalato fino al sacrificio, l'orgoglio per avere indotto una rapida e completa guarigione, la fugace ma ineffabile gioia per essere riuscito a cogliere l'esatta diagnosi, sono ricordi pallidi e sfumati della gloriosa e carismatica figura del vecchio medico condotto, che poco chiedeva e tutto dava in dignitoso silenzio. La figura del medico moderno è stata largamente inquinata dal consumismo, dalla superficialità e leggerezza crescenti, dall'egoismo e dall'utilitarismo imperanti, dall'edonismo. In questo clima, il paziente viene "sbrigato" il più rapidamente possibile e, se la diagnosi è oscura e i sintomi non accennano a calare, si ricorre a una caterva di esami ed indagini anche inopportuni, generalmente tuttavia bene accetti anche dal paziente. Per quanto
determinante sia il contributo delle moderne tecnologie per la formulazione di sede e di natura del male, la diagnosi non emerge automaticamente computerizzata dai risultati delle analisi. Ignorando a volte la portata dei risultati che un esame può dare, e non avendo che una lontana idea della diagnosi, si moltiplicano le indagini senza apparente giustificazione logica. Da qui l'inflazione di costosissime, assurde e spesso inutili indagini strumentali. L'affinamento delle ricerche a volte squisitamente inutile, è solo fine a se stesso.

Il medico oggi.
Molti, come già accennato, sono i problemi che coinvolgono la medicina e con essa anche la sociologia e l'economia. La loro soluzione può diversificarsi nei singoli stati in rapporto alla legislazione vigente, all'etica dominante, alla credenza religiosa; la concezione morale, personale del medico può coincidere in tutto o in parte, o divergere dagli obblighi imposti dalle leggi e dalle consuetudini, e creare conflitti interiori. Oltre gli obblighi costanti e fissi verso la legge e gli enti, dai quali dipende, l'attività, soprattutto quella "libera", del medico si caratterizza per l'eccezionale e necessaria capacità di adattamento alle più disparate condizioni, alle infinite sfumature di carattere dei pazienti, alle bizzarrie di strane situazioni.
Nei rapporti col paziente, il medico esercita la sua professione fra il limite della più assoluta e convinta moralità e l'obiettivo massimo della giusta diagnosi e della più idonea terapia. In questa fase dell'esercizio professionale nessun altro obiettivo, oltre l'interesse ed il rispetto per l'ammalato, dovrebbe guidare l'azione del medico. La vecchia figura, che si va rarefacendo, del medico di famiglia, realizzava gran parte di questi obiettivi. Quando il paziente è nuovo la fiducia si acquista tramite l'impegno professionale, attraverso la parola aperta e leale, onesta e sincera, con la somma pazienza ed il prudente e sapiente
consiglio.
Se la libertà del medico viene conculcata attraverso una limitazione della quantità e qualità delle prescrizioni, o una riduzione del numero e della durata delle visite, allora l'assistenza sanitaria decade, fino a ridursi ad un atto formale. Il medico che visita e che cura un paziente dà il meglio di se stesso per un bene altrui. La diagnosi e la terapia sono i suoi geniali capolavori, che si perdono anonimi nei numerosi rivoli della banale e molteplice attività quotidiana. La genialità nei piccoli e nei grandi problemi non è cosciente né regolabile entro norme e programmi. Perciò l'attività del medico vale tanto meno quanto più è incatenata, e, viceversa, tocca il sublime quando è assolutamente libera. 
L'istituzione di una rigida assistenza non può sorgere che in menti stolte, digiune di medicina, anche se ornate di un titolo accademico o di orpelli superiori. Quando il rapporto fra il medico ed il paziente passa dalla stima, fiducia e rispetto reciproco all'incomprensione, avallata dai regolamenti formali, si può allora giungere a pretese, ricatti, sfide, minacce. La dimestichezza col malato e la schietta sincerità del dialogo impostato possono contribuire validamente ad avviare a felice esito una terapia complessa, ed a svelare la radice di turbe psicosomatiche. Il paternalismo di alcuni medici, caratterizzata da un'aria di distaccata superiorità, non dissimile (la quella di alcuni docenti che sentenziano inappellabilmente su tutto e su tutti, al riparo d'una cattedra raggiunta 
come Dio ha voluto. Quando la prognosi è infausta "quo ad valetudinem", peggio se "quo ad vitam", il dilemma che si pone è se dire la verità al paziente, o ad un suo parente, se c'è. La soluzione del dilemma potrebbe darla la conoscenza intima del carattere del paziente, e delle sue eventuali reazioni all'annuncio.
La letteratura contempla quasi esclusivamente il caso della diagnosi di cancro, per ovvii motivi. La conoscenza del male inguaribile e progressivo, che non s'accompagna a sofferenze gravi (dolore), né a rinunce forzate (afagia e adipsia), può essere anche accettata con apparente fredda rassegnazione da pochi pazienti; con gravi turbe psichiche, invece, da altri. Non pochi pazienti «preferiscono non sapere», e accettano con benevola, tiepida rassegnazione le cure anche pesanti e lunghe imposte; altri, iniziano le cure e successivamente, o colpiti dalla loroinutilità o dagli effetti rovinosi o, al contrario, convinti di essere ormai guariti, le abbandonano, con la probabile conseguenza di esplosivi rebounds di neoplasie apparentemente sopite e momentaneamente dominate. Il miglior comportamento è forse quello di addolcire la cruda prognosi, e mentire sulla reale malignità del processo invasivo, tanto da fare accettare le cure e non cagionare uno stato di pericoloso scoraggiamento e di rifiuto di ogni terapia non sintomatica, che potrebbe alla fine sfociare in tentativi di suicidio.
Sono interessanti, e commoventi a un tempo, il tenace aggrapparsi al tenue filo della vita che declina; la rosea interpretazione prognostica di fugaci e fallaci sintomi di miglioramento, la formulazione di programmi per un prossimo futuro, che non sarà certamente vissuto. Il mistero del nulla sprigiona nel tumultuoso vertice d'infiniti pensieri le ultime sorridenti e dolci visioni della vita che fugge. In queste condizioni la soluzione ultima, logica e adeguata del dilemma - se dire o meno la verità - la può dare solo il medico di fiducia, che conosce il paziente e può ragionevolmente prevederne le reazioni. 
Questo, e numerosi altri aspetti dell'attività del medico implicano personalità ed aut onomia di decisione, ma non significano isolazionismo.
L'American Medicai Association (AMA) ha stabilito degli standard di comportamento del medico nei confronti dei suoi pazienti, dei colleghi e di coloro che esercitano attività paramediche, e del pubblico. Obiettivo principale del medico è dichiarato essere un servizio all'umanità, nel pieno rispetto della dignità dell'uomo, anche al fine di accattivarsi la necessaria piena fiducia del paziente. Per ottenerla il medico deve tendere altresì a migliorare la sua cultura su basi scientifiche; a mantenere integra, sotto ogni aspetto, la sua moralità; ad osservare le leggi; a tener alta la dignità e l'onore della professione; a denunciare «without hesitation» i colleghi immorali e fuori legge; a non abbandonare un paziente; a chiedere una ricompensa commisurata ai propri servizi ed alla disponibilità del paziente; a consultarsi - se richiesto, se il caso è dubbio, se necessita migliorare le prestazioni - a mantenere il segreto professionale; ad estendere gli ideali della professione alla società.


In conclusione.
In qualunque attività dell'uomo d'oggi, in qualsiasi stato e condizione della società, non si può prescindere dalla medicina, tanto più quanto più elevato è il 
grado di civiltà di un popolo: dalla malatti a al malessere, dall'alimentazione allo sport, dall'estetica alla memoria, ecc. In un'assistenza sanitaria globale una volta riconosciuto e formulato il diritto alla salute, emerge il dovere dello Stato di organizzarlo e finanziarlo. Per molteplici motivi, ma soprattutto per evitare abusi, occorre allora definire esattamente il concetto ed i limiti di malattia, regolare con limpida chiarezza i provvedimenti relativi, sostenere con l'autorità dello Stato e degli Enti pubblici il giudizio del medico che ne propone l'azione. Queste aspirazioni sono di difficile realizzazione, perché molti sintomi, 
che si possono accusare sono inesistenti (dolori, dispepsie, neurosi, astenia), o simulati, o dipendenti da vizi (etilismo, tabagismo) o da intemperanze (iperfagia). Deve la società pagare passivamente per queste mancanze del prossimo, senza nulla tentare per redimerlo? E deve al solito essere il medico, il poliziotto che indaga, accerta e denuncia, più a titolo personale che come rappresentante di una società che non lo difende abbastanza? A un diritto alla salute dovrebbe corrispondere un dovere a preservarla; se questo dovere non viene adempiuto come si dovrà provvedere? Questa e numerose altre considerazioni illustrano quanto vari, relativi e insensibili siano gli sfumati passaggi dalla salute alla malattia, e quanto difficile sia perciò codificare la materia, e quanti abusi e soprusi potrebbero esser commessi dai «furbi». Per evitarli il medico dovrebbe farsi impastoiare in un inestricabile labirinto di farraginosi e confusi articoli ali regolamento, che ne farebbero di un bravo medico un pessimo burocrate.
L'amara conclusione è che un'assistenza sanitaria globale navigherebbe sempre sulle acque, più o meno mosse, d'inevitabili sperequazioni ed ingiustizie, e che potrebbe diventare un pozzo senza fondo, a colmare il quale non basterebbero finanze per quanto floride. Se il medico fosse più medico, se sfruttasse meglio i metodi personali della semeiotica fisica, se avesse una superba preparazione pratica e dottrinaria, le spese per esami ed analisi si ridurrebbero sensibilmente. Se poi alla tendenza invalsa di andare a tutti i costi alla ricerca della causa prima - ricerca non raramente praticamente inutile e fine a se stessa - si preferisse una terapia pragmatica convalidata, si ridurrebbero sensibilmente anche le spese di degenza e cura.
Tutto ciò equivale a dire che il medico capace, libero da strettoie burocratiche, potrebbe contribuire decisamente a migliorare oltre che lo stato di salute generale, anche il bilancio dell'assistenza sanitaria.
L'altro aspetto essenziale del problema riguarda l'assistenza farmaceutica.
Oggi la potenza curativa dei farmaci e la tecnica farmaceutica hanno messo a disposizione del medico prodotti che potrebbero dare risultati ancora più 
consistenti se fossero noti e giustamente applicati. Se poi le farmacie disponessero di vitamine e di molti prodotti chimici sfusi e di tecniche di preparazione miniaturizzate, e i medici conoscessero meglio la fisiologia, la biochimica, la farmacologia e le scienze ancillari, allora la riduzione di spesa per l'assistenza sanitaria sarebbe tanto grande da poter essere anche sostenuta. L'assistenza sanitaria per essere efficiente dovrebbe disporre di medici onesti, liberi, colti, capaci ed esperti, devoti alla professione in grado di rifiutare qualsiasi deviazione ideologica. Il medico vero è il solo che ha la capacità di poter reggere e di far progredire l'assistenza sanitaria.